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Sacchi: «Brera mi chiese chi avrebbe marcato Maradona. Rispose mia moglie: “lui non marca a uomo”»

Intervista al Telegraph: «La lezione del Milan è stata appresa e sviluppata ovunque tranne che in Italia. In un giocatore cercavo intelligenza, modestia, umiltà e voglia»

Sacchi: «Brera mi chiese chi avrebbe marcato Maradona. Rispose mia moglie: “lui non marca a uomo”»
Db Reggio Emilia 06/02/2016 - campionato di calcio serie A / Sassuolo-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Arrigo Sacchi

“Sono nella campagna italiana, sorseggiando un bicchiere di Lambrusco e parlo di calcio con Arrigo Sacchi. Benvenuti nella mia idea di paradiso”. Comincia così l’intervista di Jamie Carragher all’ex ct della Nazionale, tecnico del grande Milan che si giocava gli scudetti col Napoli, negli anni ottanta un po’ come oggi.

Scrive che Sacchi è “più di un allenatore leggendario. È uno degli architetti del calcio moderno, probabilmente il più influente degli ultimi 40 anni”. Ed “è considerato una sorta di oracolo per i tecnici di tutto il mondo”: “Venticinque anni fa Arsene Wenger ha chiesto consiglio al due volte vincitore della Coppa dei Campioni. Due settimane fa Thomas Tuchel era qui”.

“Abbiamo iniziato a parlare e dopo un po’ erano le 2 del mattino…”, dice Sacchi.

Sacchi parla del Liverpool e del Manchester United (“Non ho visto una squadra. Ho visto undici individui, messi insieme in campo”). E dispensa perle:

“C’erano sempre quattro cose che cercavo in un giocatore: intelligenza, modestia, umiltà e voglia. Quando sono arrivato al Milan c’era un giocatore che non volevo perché ho scoperto che usciva tutte le sere e dormiva al campo di allenamento. Berlusconi mi chiese: ‘beh, chi dovremmo prendere?’ Gli dissi ‘nessuno. Dovremmo usare la sua riserva, perché è modesto e vuole imparare. Daniele Massaro era un giocatore tecnicamente eccellente ma all’inizio non ha lavorato tanto, quindi ha dovuto imparare. Ruud Gullit ha avuto un’enorme influenza non solo tecnicamente, ma anche dal punto di vista umano. Il suo spirito era importante quanto il suo talento”.

“Il calcio rispecchia sempre la cultura e la storia del Paese. La storia dell’Italia dopo il tempo dei romani non è stata grande, invasa da tutti e sempre in fuga. Pensavo fosse possibile avere una squadra italiana che giocasse in prima linea e in modo positivo. La mentalità è sempre importante”.

“All’inizio non ero sicuro delle mie idee, ma abbiamo lavorato e lavorato. Ho sempre voluto lavorare con persone intelligenti, perché quando dai loro un concetto, lo migliorano da soli. Diventano quelli che guidano il processo. Quando sono arrivato a Milano nel 1987, uno dei più importanti giornali italiani scrisse: ‘Domani il Milan svelerà Mr Nessuno’“.

“I giocatori di allora come Franco Baresi non erano ostili ai cambiamenti, ma erano diffidenti. Quella era la sfida che dovevo affrontare ovunque andassi, in quarta divisione c’era un giocatore che aveva la mia stessa età e che aveva giocato in serie A. Sono uscito dallo spogliatoio un giorno e ho sentito questo ragazzo che parlava con agli altri giocatori, ha detto: ‘quest’uomo o è un genio o è un pazzo'”.

“Una volta tempo io e mia moglie eravamo in un ristorante e Gianni Brera era a un altro tavolo. Stavamo per giocare contro il Napoli e lui è venuto da me e mi ha chiesto chi avrei usato per marcare a uomo Maradona. Mia moglie, che non aveva alcun interesse per il calcio e non guardava nessuna partita, disse: ‘ma non usi la marcatura a zona?’. E io: ‘o non lo stiamo facendo bene o questo tipo non capisce'”.

Sul calcio di oggi:

“L’Inghilterra ora ha i migliori allenatori del mondo. Pep e Klopp sono due grandi che permettono al calcio di andare avanti. Senza allenatori così il calcio muore. Ho visto il Liverpool giocare a Barcellona ed ero emozionato. Ero commosso perché non era solo una squadra che vinceva, era un’intera città. Nella prossima vita voglio fare l’allenatore in Inghilterra. La lezione del Milan è stata appresa e sviluppata ovunque tranne che in Italia”.

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