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Il prodotto calcio in tv è sopravvalutato. Sono pochi a pagare, e vengono pure trattati da idioti

La mossa della disperazione di Dazn è figlia del mercato. Il calcio in tv a pagamento non è popolare. È per un pubblico di secondo livello. Ma le trasmissioni continuano a essere rivolte a ipotetici ignorantoni

Il prodotto calcio in tv è sopravvalutato. Sono pochi a pagare, e vengono pure trattati da idioti
Db Milano 07/11/2021 - campionato di calcio serie A / Milan-Inter / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: tifosi Milan

La domanda regina che sovrasta il balletto di notizie che ruota attorno alla vicenda Dazn, alla presunta volontà di cassare gli abbonamenti in duplex, è: ma non è che in Italia c’è stata e c’è una sopravvalutazione del prodotto calcio? I numeri, o meglio, il mistero che ruota attorno ai numeri, va in questa direzione. Nessuno dice con chiarezza quanti siano gli abbonamenti sottoscritti. Nessuno dice con chiarezza quali siano i dati di ascolto. Non lo dicono con chiarezza, ovviamente, perché i numeri sono inferiori alle attese e gli sponsor si comporterebbero di conseguenza. Ma la reazione di Dazn, così come la reazione di Sky che di fatto non si è strappata i capelli per aver perso l’esclusiva della Serie A, è la reazione di chi è in difficoltà. Di chi ha pagato cento per l’esclusiva di un prodotto che come ritorno gli garantisce quaranta. Gli unici numeri reali li ha forniti Tim – il cui ruolo non è affatto secondario rispetto a Dazn – e Tim ha detto chiaramente che aveva previsioni superiori.

A questo aggiungiamo le periodiche riflessioni sugli stadi vuoti. Che non riguardano soltanto Napoli.

Ne deduciamo che gli italiani il calcio non lo guardano in tv, o meglio: non lo guardano oltre un determinato prezzo. E non lo guardano allo stadio.

Questo dovrebbe essere il punto. È stata effettuata un’analisi dettagliata del mercato calcistico in Italia? Ci pare di no. Non possiamo aspettarcelo dai presidenti dei club di Serie A cui francamente non affideremmo neanche la gestione del condominio. Potremmo però aspettarcelo da aziende come Tim e Dazn.

In Italia il calcio è un assordante rumore di fondo. Anche legato a una visione e a una narrazione anni Ottanta. Si confonde la chiacchiera da bar con l’esigenza che ti induce a spendere. Ora al posto del bar ci sono i social (c’è una grande differenza tra commentare sui social e spendere i soldi per guardare una partita). Questo è il primo punto.

Poi ce n’è un secondo strettamente legato al primo. Tutto va nella direzione della scarsa popolarità del calcio a pagamento in tv. Eppure coloro i quali pagano, vengono trattati alla stregua di minus habens. Il fruitore di calcio in tv viene trattato come il conversatore da bar (ovviamente ammesso e non concesso che il conversatore da bar sia un idiota, ma evidentemente chi trasmette il calcio è convinto che i telespettatori siano idioti). Invece chi paga per il calcio in tv, è un consumatore specializzato, non diciamo di nicchia ma quella è la tendenza. Oseremmo definirlo di secondo livello. È un consumatore che supera la frontiera del chiacchiericcio. Sì magari è tifoso. Ma è anche appassionato di calcio. Vuole sapere. Non può continuamente ascoltare chiacchiere inutili, quando non stupide, che spesso tendono a nascondere la realtà. Vorrebbe – stiamo per dire una bestemmia – essere trattato come un adulto.

Ecco cosa manca. Il consumatore paga, colui il quale paga, e viene trattato come un idiota. Si ritrova un prodotto da bar. È un cortocircuito che in Italia nessuno vuole affrontare. Perché non c’è una ricerca scientifica sul consumatore. Chi segue il calcio, è considerato un buzzurrone, un ignorante.

E al presunto ignorante viene offerto un prodotto alla sua altezza: un prodotto scadente. Quello di Dazn è stato scadente per fruizione di immagini. Quello di Sky era ed è tecnologicamente più evoluto. Però si fa una fatica immane ad ascoltare parole che possano essere considerate più o meno in linea con quel che guardiamo. Siamo al punto che ci siamo dovuti congratulare con Dazn per aver sottolineato e denunciato il razzismo negli stadi italiani.

A noi questo sembra un cortocircuito. Magari si potrebbe far pagare di più il calcio, visto che lo guardano in pochi, ma chi paga deve essere trattato da persona intelligente.

Poi, ci sarebbe da analizzare il prodotto calcistico in sé. E onestamente il prodotto Serie A è scarso. Le partite sono mediamente brutte. Con qualche eccezione, poche. Gli arbitraggi sono scadenti. Il sistema è omertoso. Siamo nel 2021, l’omertà non è più ammissibile. Il consumatore ti spegne la tv in faccia. Il calcio in tv non può più essere propinato come se fosse una tribuna elettorale da Prima Repubblica. E, come visto, non è affatto vero che pur di guardare il calcio gli italiani si bevono di tutto. Siamo ancora allo schema primitivo: presentatrice bonona, più opinionista tifoso di qua e opinionista da là. E il moviolista. Mamma che palle. Avviene solo per il calcio. Nel tennis ci sono esperti di tennis (un po’ tifosi, ma moderatamente). Così nel basket, nel ciclismo. Viene prima lo sport. Nel calcio no. Nel calcio viene prima la “politica”.

A noi sembra che ci siano una serie di fattori che nessuno vuole prendere in considerazione. La politica dello sport è antidiluviana. E la politica persevera in giochini di potere senza rendersi conto che la torta si sta assottigliando. Il prodotto Serie A è scadente, è presentato in una modalità scadente. Perché mai qualcuno dovrebbe pagare?

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