È come se avesse soffocato gli azzurri, ha impedito loro di costruire dal basso, di gestire il pallone. E stavolta Spalletti ha tardato a trovare le contromisure
La tattica e l’atteggiamento
Interrogato dopo Inter-Napoli 3-2, nella conferenza stampa come nell’intervista rilasciata a Dazn, Luciano Spalletti ha insistito su alcuni punti. Vale a dire: mancanza di coraggio, atteggiamento e scelte sbagliate della sua squadra. Come per tutte le cose del calcio e della vita, sono termini e concetti che si possono declinare in molti modi diversi. Nella sua analisi a caldo, Massimiliano Gallo ha intercettato quelli relativi alla sfera emotiva dei calciatori, ha parlato – giustamente – di fame, di spirito, di voglia di vincere, tutti elementi che hanno arriso all’Inter nella partita di ieri – almeno per lunghi tratti. Ma esiste anche un’altra lettura, non molto distante o differente, che riguarda la tattica e la tecnica.
Spalletti è sembrato molto deluso proprio per questo motivo. Il suo Napoli, soprattutto nel primo tempo, non si è visto. Non è esistito. Se non per il gol del vantaggio, nato da un’azione ormai collaudata, nel senso di interiorizzata nel software di gioco della squadra azzurra: recupero del pallone in alto, ribaltamento del fronte, apertura degli spazi da parte degli attaccanti e inserimento da dietro. Tutto bello, tutto perfetto. È un classico esempio di manovra tattica, di quelle che nascono da una preparazione fatta a tavolino, da un pensiero, dal lavoro settimanale. Quindi, da un meccanismo tattico che il Napoli utilizza spesso. Ma il problema è che il gol di Zielinski è stata l’unica azione di questo tipo vista nei primi 45′. E poi anche fino a un certo punto della ripresa.
In cosa è mancato il Napoli (e i meriti dell’Inter)
Il Napoli di Spalletti è una squadra che, finora, ha fatto grandi cose in Serie A per un motivo preciso: ha sempre saputo gestire le partite a basso e medio ritmo – quelle tipiche del nostro campionato. E non perché si sia appiattita su questa situazione, ma perché ha imparato ad accelerare quando deve e poi a gestire il ritorno degli avversari, grazie a una fase difensiva di grande efficacia. L’Inter di Inzaghi, quantomeno nel primo tempo, ha cambiato le carte in tavola, nel senso che ha costretto gli azzurri a misurarsi con un contesto diverso. Quello imposto da una squadra gioca ad alta intensità e anche con una certa qualità.
Lo si è capito subito dopo il gol del vantaggio siglato da Zielinski: fino a quel momento, l’Inter aveva fatto una partita di controllo e attesa, con un’altissima percentuale di possesso palla (58%) e una sola azione veramente pericolosa, vale a dire il colpo di testa provato da Lautaro Martínez dopo sei minuti di gioco. La rete del Napoli ha fatto cambiare marcia agli uomini di Simone Inzaghi. Che, pure a costo di rinunciare al controllo del possesso (all’intervallo la percentuale grezza dell’Inter era scesa fino al 50%), hanno iniziato a spostare più velocemente il pallone, a far salire più uomini nella metà campo avversaria, ad accerchiare l’area di rigore del Napoli. Non a caso, a fine primo tempo, il baricentro medio della squadra di casa risulta posto a 54,68 metri, mentre quello del Napoli è poco oltre i 46 metri.
L’autore del cross è Bastoni, che in realtà gioca come difensore centrale. Solo che, in questa azione, viene “trascinato” in avanti dalla grande spinta dell’Inter – che si percepisce anche dal fatto che in area ci siano tre giocatori (più un quarto a rimorchio) al momento del cross.
Quello che vedete appena sopra è un frame che anticipa di pochi secondi il fallo di mani di Koulibaly, quindi il rigore trasformato da Calhanoglu. Per tutto il resto del primo tempo, l’Inter ha attaccato – e quindi ha anche difeso – con questa intensità. Intensità, lo diciamo spesso nell’ambito di questa rubrica, non vuol dire solo correre molto, quanto – soprattutto – rendere difficili le giocate dei calciatori del Napoli, sporcare le tracce di passaggio, impedire ricezioni semplici. Come accade nell’azione che conduce al calcio d’angolo del 2-1.
In questi pochi secondi, si vede chiaramente come il baricentro avanzatissimo e il pressing insistito dell’Inter portino la squadra di Inzaghi a beneficiare del suo schieramento in campo, delle sue spaziature: il 3-5-2/5-3-2 dei nerazzurri, se spinto al massimo, si può trasformare in un 3-3-4 che non solo rende impossibile la circolazione bassa di una squadra schierata con una difesa a quattro, ma inibisce anche le ricezioni degli esterni offensivi. Sopra, infatti, Insigne viene braccato da Darmian, e a pochi metri di distanza c’è Skriniar, difensore centrale che è avanzato tantissimo, mentre tutti gli altri calciatori di Spalletti al di qua della metà campo sono a loro volta marcati molto da vicino.
Al momento del recupero palla, l’Inter ha portato sei giocatori nella trequarti difensiva del Napoli, cioè ben oltre la metà campo
I meriti dell’Inter, dunque, sono evidenti. E non vanno trascurati, anzi vanno raccontati, proprio per capire cos’è mancato al Napoli. La squadra di Inzaghi, nel momento in cui ha capito che una condotta di gara conservativa – o comunque poco intensa – non avrebbe pagato, anzi il risultato era già di 0-1 in favore del Napoli, ha cambiato completamente registro. E ha creato il contesto meno favorevole per i giocatori di Spalletti, che – come detto – si sentono molto più a loro agio quando hanno tempo e modo e spazio per poter gestire il pallone. Per poter costruire la manovra offensiva in maniera ragionata.
Ed è qui che tornano in mente le parole di Spalletti: quando il tecnico del Napoli parla di scarso o mancato coraggio, fa riferimento proprio all’incapacità di ovviare a questo problema, ben manifesta nella notte di San Siro. Non si tratta solo di scegliere tra costruzione dal basse e/o gioco verticale, piuttosto di riuscire a trovare un’alternativa quando le cose non funzionano. O quando, come nel caso di Inter-Napoli, gli avversari giocano con maggiore intensità e hanno anche valori tecnici similari – se non superiori – a quelli degli azzurri.
I dati, da questo punto di vista, sono impietosi: dal gol di Zielinski fino all’intervallo, il Napoli ha toccato solo 5 palloni in area di rigore; ha servito solo 18 passaggi (su 128) nel suo terzo di campo offensivo; ha tentato meno dribbling (4-5) e meno duelli aerei rispetto all’Inter. I soli 2 tiri provati dagli azzurri, entrambi da Osimhen (il tiro rimpallato del 33esimo minuto il colpo di testa finito fuori del 36esimo minuto), sono una conseguenza inevitabile di tutti questi indicatori.
Nella ripresa
Per usare un solo termine, si potrebbe dire che l’Inter ha saputo soffocare il Napoli. Gli ha impedito di costruire dal basso, di gestire il pallone, e questo ha in qualche modo compromesso anche la “seconda parte” del sistema offensivo di Spalletti, tendenzialmente più verticale e creativo rispetto al passato. Il ritmo altissimo tenuto per mezz’ora, però, non era riproducibile sul lungo periodo. E così la squadra di Inzaghi, con grande intelligenza, è rientrata in campo nella ripresa con un altro atteggiamento. Con un altro spirito.
I dati mostrano come sia cambiata la partira
Basta guardare quest’immagine – che, ovviamente, fa il computo dell’intera ripresa – per capire come e quanto i nerazzurri si siano ritratti, compattati, invitando il Napoli ad alzarsi molto. A scoprirsi. Ed è proprio così che nasce il gol di Lautaro: il Napoli, pur di creare un’occasione pericolosa, porta tutti i suoi giocatori di movimenti nella metà campo avversaria; la circolazione del pallone resta però lenta, poco fantasiosa, il tiro di Fabián viene ribattuto e nessuno ha la forza per affrontare o fermare Correa. Neanche con un fallo. Questo gol è l’ennesima dimostrazione di come, nel calcio moderno, organizzare una fase offensiva varia, pungente, efficace, sia fondamentale non tanto e non solo per segnare molti gol, ma anche per non incassarne.
Il gol di Correa
A questo punto, il doppio vantaggio dell’Inter (del tutto meritato) e l’andamento della gara hanno spinto Spalletti a cambiare. In realtà, forse i cambi sono arrivati anche troppo tardi: era il 75esimo quando Mertens ed Elmas hanno sostituito Insigne e Lozano – autori di prestazioni a dir poco incolori, soprattutto Insigne. Con i nuovi ingressi, il Napoli ha reso più imprevedibile il suo 4-2-3-1 in fase offensiva: Mertens e Zielinski si sono scambiati moltissime volte la posizione tra centro e centrosinistra, offrendo sfoghi di passaggio sempre diversificati; Elmas a destra ha duettato benissimo con Di Lorenzo; ma soprattutto, Anguissa ha preso finalmente in mano il centrocampo e la sua squadra, toccando tantissimi palloni (31) e creando diverse situazioni pericolose.
È evidentemente una questione di intensità: nel momento in cui l’Inter ha ridotto la sua spinta propulsiva – per via della stanchezza dopo l’ottimo primo tempo, per via delle scelte e anche delle sostituzioni di Simone Inzaghi – il Napoli è tornato a essere una squadra dominante. Il gol di Mertens, in questo senso, è molto significativo. E non per lo splendido tiro da fuori del numero 14, tantomeno per la sua capacità di farsi trovare tra le linee (una cosa che non è quasi mai riuscita a Insigne e/o a Zielinski), quanto per il pressing portato da Koulibaly. Il gol nasce da lì, da questa intensità nella proposta difensiva che diventa offensiva.
Quanto conta alzare il pressing, nel calcio di oggi
In un contesto del genere, tra l’altro contro avversari sfibrati, come detto Anguissa è tornato a dettar legge a centrocampo. E il Napoli ha sfiorato per due volte il gol del pareggio, prima con Mário Rui e poi con Mertens. In entrambe le occasioni, basta riguardare le immagini, la squadra di Spalletti era riuscita a portare molti uomini nell’area di rigore avversaria dopo aver sfondato sul lato destro. E, ovviamente, questo dipende dall’atteggiamento tattico, dal fatto che gli azzurri siano riusciti a far girare il pallone in maniera rapida, veloce, fino ai cross tagliati che hanno permesso a Mário Rui e a Mertens di sfiorare il pareggio.
Cinque e quattro uomini in area di rigore
Per quanto si è visto nel secondo tempo, il pari sarebbe stato un risultato pure meritato, per il Napoli. Va anche detto, però, che il 3-3 finale sarebbe andato piuttosto stretto all’Inter, soprattutto se teniamo conto di quello che è successo nei primi 45′. I numeri sono lì a dirlo: il computo finale dei tiri dice 17-9 per la squadra nerazzurra; 5 delle 9 conclusioni tentate dal Napoli sono arrivate tutte tra il 75esimo e il 98esimo minuto; inoltre, se consideriamo i tiri finiti nello specchio della porta, c’è un vero e proprio buco nero tra il minuto 17′ (quello del gol di Zielinski) e il minuto 75′ (quello del gol di Mertens): in questo segmento di Inter-Napoli, gli azzurri non hanno mai centrato lo spazio delimitato dai pali della porta difesa da Handanovic.
Come detto la prestazione dei singoli non ha aiutato: Insigne è parso abulico; Osimhen si è fatto vedere molto meno del solito; Zielinski non ha fatto molto altro prima e dopo il gol; Fabián e Anguissa sono stati prima dominati e poi domati da Barella, Brozovic e Cahlanoglu; sugli esterni, poi, Darmian e Perisic (costantemente a supporto della fase offensiva nei momenti di massima spinta dell’Inter) non hanno solo limitato Di Lorenzo e Mário Rui, ma li hanno anche messi seriamente in difficoltà in fase difensiva – aiutati da un Barella sempre disponibile alla sovrapposizione esterna o interna, soprattutto a destra.
L’infortunio di Osimhen
Per la primissima volta in questa stagione, il Napoli è sembrato inferiore al suo avversario. Come detto in apertura, si è trattato di mancanza di determinazione, di forza mentale. Ma poi abbiamo aggiunto elementi e concetti che mostrano come anche la tattica e la tecnica abbiano influito. Il piano partita di Spalletti, evidentemente, non si discostava molto da quelli applicati (piuttosto bene) finora: controllo della situazione, lettura dei momenti, ricerca del pressing alto e verticalizzazioni immediate appena possibile. È bastato al Napoli per andare in vantaggio, poi però l’Inter è venuta fuori e gli azzurri non sono riuscito a contenere gli avversari. A trovare delle alternative – strategiche, o anche solo di tecnica individuale – per rispondere a questa intensità.
Resta poi il fatto che Spalletti, anche questo è un inedito stagionale, non ha saputo trovare delle contromosse a questo dominio dell’Inter. E poi ha ritardato troppo il tentativo di cambiare qualcosa in fase offensiva, di (provare a) sfruttare il progressivo arretramento dei nerazzurri. Da questo punto di vista, l’infortunio lungo di Osimhen deve essere ovviamente considerato come un problema enorme, ma potrebbe anche offrire un’occasione: fin da oggi il Napoli può lavorare sull’unica cosa che gli manca, ovvero la capacità di immaginarsi e costruire delle trame che gli permettano di generare azioni pericolose senza dover spingere sempre al massimo.
Conclusioni
L’assenza di un attaccante come il nigeriano, che “chiama” i compagni a tenere i suoi ritmi e ad assecondare il suo modo di giocare, permetterebbe – o comunque permetterà – a Spalletti di lavorare di più su un Napoli con Mertens e Petagna nel 4-2-3-1, solo con Mertens nel ruolo di centravanti, o comunque di ricreare un possesso palla più sofisticato: un’arma che potrebbe essere utile contro squadre come l’Inter, in grado di giocare ad alta intensità ma che in ogni caso vanno attaccate con coraggio, altrimenti poi i risultati finiscono per compromettersi. Proprio com’è avvenuto ieri sera.
Allo stesso modo, però, è importante anche ricordare che l’Inter è ben oltre la media delle squadre di Serie A per qualità dei singoli, per valore collettivo, per profondità della rosa ed esperienza. E il fatto che il Napoli abbia perso solo di misura contro una squadra del genere, per di più in trasferta, sfiorando il pareggio all’apice di una prestazione tutt’altro che positiva, evidenzia ancor di più le enormi prospettive della squadra di Spalletti. Le sue ambizioni, le sue possibilità in chiave scudetto.