Il marciatore: “Prendevamo il caffé al bar e pensavo sarebbe bello fare il barista anziché l’atleta. Era nauseato dal mio sport”
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“Ero in un tunnel. Mentivo a tutti. Andavo in Turchia per doparmi. Ne sono uscito solo quando mi hanno trovato positivo. La positività è stato il momento in cui finalmente potevo occuparmi di me stesso. Gli atleti sono molto bravi a trovare sempre una motivazione per andare avanti. Dopo la positività il mio mondo non esisteva più e potevo finalmente fermarmi”. Alex Schwazer racconta il tunnel dal quale è uscito solo dopo una sentenza di in tribunale ordinario che ha sancito la sua innocenza, la pulizia di una nuova vita sportiva che s’era riuscito a costruire dopo aver ingannato tutti nella precedente. Il doping, quello vero, le menzogne, la squalifica. Che il marciatore, oro olimpico, oggi traduce in “liberazione”. “Io già sapevo che al controllo sarei stato positivo. Ci fu una settimana folle per aspettare la notifica. Ero contento che sarebbero cadute tutte le menzogne“.
“Dopo Pechino 2008 mi sono trovato in situazioni più grandi di me. Ero vuoto, sempre più vuoto. Vuol dire fare una cosa senza stimoli. Ho fatto sempre il mio sport con una grande passione, era diventato un obbligo, fare sempre di più. Resisti qualche mese, qualche anno, ma poi non ce la fai più. Mi ricordo ancora che prendevamo il caffé in un bar e pensavo sarebbe bello fare il barista anziché l’atleta. Era una nausea che provavo”.
“Non mi trovavo più bene. Faccio uno sport molto solitario e quando ti ritrovi in un ambiente più grande non è facile. Mi piaceva andare forte, ma non ero pronto per quello che si aspettavano da me al di fuori dello sport. Non era possibile prendermi una pausa. Dire, a 24 anni, mi fermo e rifletto un anno, non era possibile. Io potevo non fare quel controllo, l’ho fatto per Carolina (Kostner, sua compagna all’epoca, ndr). Per non mettere lei nei guai, che mentiva per me a sua insaputa. Mi vergognavo, mentre lo facevo non potevo parlarne a nessuno”.
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