Al CorSera: «A 8 anni al figlio di Giorgio un compagno chiese: «Ma tuo papà è uno della Gialappa’s?». E lui: «Sì, anche il tuo?». Voleva condividere la vergogna»

Sul Corriere della Sera una lunga e bellissima intervista alla Gialappa’s Band. Il trio comico è comico composto da Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci. All’inizio della loro carriera faceva parte del gruppo anche Sergio Ferrentino. Raccontano i loro esordi, quando proposero alla Rai il loro modo di raccontare le partite di calcio. Allora, il capo dello sport era Gilberto Evangelisti. Sono passati 35 anni.
«La sua risposta fu ferma e sdegnata: “Il calcio è una religione, non si bestemmia sul sagrato”. Adesso è una frase che fa ridere o forse anche arrabbiare, ma allora ci parve tutto sommato comprensibile. Quelle erano le regole linguistiche del tempo».
Il primo programma all’interno del quale furono coinvolti fu “Quel fantastico tragico venerdì”, su Mediaset («uno dei programmi più brutti che la storia della televisione possa ricordare»). Eppure ne erano orgogliosi.
«Nella nostra giovanile ingenuità eravamo convinti che il programma fosse decente. Avvertimmo orgogliosi le famiglie: “Guardate che venerdì inizia il nostro programma”. Dopo mezz’ora, eravamo a casa con i nostri genitori, ci vergognavamo da matti».
Da allora sono passati 35 anni, durante i quali hanno avuto decine di spalle.
«Il nostro meccanismo di base è il presentatore che fa o dice una minchiata e noi che gli diciamo “Ma cosa stai dicendo, pirla!”. Avemmo un problema quando prendemmo come conduttore di Mai dire gol Gioele Dix, perché Gioele ha una comicità intelligente, raramente dice cazzate e quindi non c’era il batti e ribatti. Veniva da dire sì ha ragione e quindi non funzionava. Lo cambiammo e mettemmo Bisio. Se c’è uno che sa fare il coglione meravigliosamente è Claudio».
In tanti si proponevano, per lavorare con loro.
«Paola Cortellesi mandò un VHS in redazione. Marco lo vide in una pausa pranzo e rimase con il boccone in mano: era uno straordinario talento. Faceva tre, quattro personaggi. Tutti riusciti. Le telefonammo e lei, che come sogno aveva fare Mai dire gol, era convinta che la stessimo prendendo in giro, che fosse uno scherzo. Allora le demmo il numero del centralino dicendo: “Chiama Mediaset e chiedi di Mai dire gol. Vedrai che ti rispondiamo noi».
Il personaggio a cui sono più affezionati è Caccamo.
«Popolare e surreale insieme. Aspettavamo il suo momento noi che facevamo la trasmissione, figurarsi il pubblico. Ma anche quelli che non hanno avuto quella fortuna. Come Bisio quando faceva l’agente dei calciatori. Ma l’emblema del successo e della follia di quegli anni è Tafazzi. Tafazzi è un personaggio che sarà stato in onda in tutto un minuto e mezzo, ed è passato alla storia. Allora l’Unità lo citò giustamente come emblema di una certa sinistra e da quel momento il suo nome è entrato nel linguaggio comune».
Raccontano come nacque l’idea.
«Una sera Giacomo (Gherarducci, ndr) aveva questa bottiglia in mano, si annoiava e aveva cominciato a darsela sui coglioni. Così, perché non sapeva cosa fare. Come certa sinistra».
Quando i vostri figli chiedono che mestiere fate cosa rispondete?
«Il cretino. Papà fa il cretino in tv. Il figlio di Marco due anni fa aveva quattro anni e all’asilo, alla domanda “Cosa fanno i vostri papà?”, rispose in un tema: “Mio papà non fa niente”. Aveva ragione, nel senso che in quel periodo lavoravamo molto poco. I nostri figli adolescenti non ci hanno mai considerato per il lavoro che facciamo. Però quando abbiamo usato Twitch hanno incominciato a guardarci con occhi diversi, perché eravamo star di quel social. Per i ragazzini Twitch è ovviamente il top. Sulla carta d’identità non sappiamo mai cosa scrivere, come tutti i colleghi. Il figlio di Giorgio aveva otto anni, faceva le elementari, e una volta arrivò un altro ragazzino della sua scuola che disse: “Ma il tuo papà è uno della Gialappa’s?”. E lui gli rispose: “Sì, perché, anche il tuo?”. Voleva condividere la vergogna».