Al Corriere del Veneto: «Ho capito a 6 anni la sua grandezza. Quando mi accompagnava a scuola lo fermavano tutti, lo chiamavano dalle finestre, gli stringevano la mano»

Il Corriere del Veneto intervista Alessandro Rossi, figlio di Paolo, il mitico Pablito Rossi.
«Non c’è giorno che non pensi a lui, ogni sera aspetto una sua telefonata come una volta quando mi chiamava per sapere come stavo, come andava con il lavoro e a volte anche per risolvere qualche problema».
Si dice contento di tutto l’affetto riversato su Paolo dopo la sua morte, ma manca ancora qualcosa: che gli sia intitolato uno stadio.
«Ho visto molto affetto da parte di tutti. Se però devo evidenziare una cosa che non è stata fatta quella è l’intitolazione di uno stadio. E se penso ad uno stadio che più di tutti sarebbe adatto per ricordare cosa ha rappresento mio padre per l’Italia, quello è lo stadio di Roma. L’Olimpico per me dovrebbe diventare lo stadio Paolo Rossi».
Quando ha capito la grandezza di suo padre?
«Più o meno a 6 anni. La mia scuola distava da casa circa 400 metri, quando mi accompagnavano la mamma e la nonna ci arrivavo in pochi minuti, quando mi portava lui il viaggio durava anche oltre un’ora. Lo fermavano tutti, lo chiamavano dalle finestre, gli stringevano la mano. È lì che ho capito che avevo un papà speciale».
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