L’importanza di avere un allenatore. All’arrivo di Spalletti era ben più che un oggetto misterioso. Lo scorso anno aveva giocato 139 minuti in Serie A. Il tecnico lo ha restituito al calcio e al Napoli
Il calcio è un gioco semplice, ripete il detestato Allegri. Basta capirne. A volte, aggiungiamo noi, basta avere un allenatore. Una persona che vive di calcio, che lo studia, che vive la propria quotidianità, il proprio lavoro, con passione. Perché è la passione l’elemento che ti consente di non avvertire la fatica. Di appagare quella smodata curiosità, quella irrefrenabile esigenza di capirne di più e di provare a migliorare il puzzle.
Stanislav Lobotka è l’esempio che meglio di ogni altro fotografa la costante tensione al miglioramento di Luciano Spalletti. Ogni problema è un’opportunità. Lo è in generale, altrimenti Dries Mertens starebbe ancora a fare l’esterno part-time. Per Spalletti è quasi un dogma. È un concetto che lui ha interiorizzato, non una frase fatta con cui riempirsi la bocca. Il tecnico del Napoli lavora quotidianamente alla sistemazione delle tessere. Per ciascun calciatore trova, o prova a trovare la sistemazione ideale e contestualmente cerca di abituarlo a giocare in altri sistemi e in altre posizioni. Malcuit esterno di destra, non in una difesa a quattro, è la naturale conseguenza di questo lavoro, ad esempio. Vale per tutti.
Ma torniamo a Lobotka. Dopo un anno e mezzo con Gattuso, Lobotka era diventato un oggetto misterioso. Un soggetto da meme, deriso dai tifosi per la sua corporatura allora non da atleta e anche perché non giocava praticamente mai. La sua sembrava una storia simile a quella di Luis Silvio Danuello il mitico straniero acquistato dalla Pistoiese e rincorso dalla leggenda – da lui smentita – secondo cui il Ponte Preta (la sua squadra brasiliana) riuscì a venderlo alla società toscana in seguito a una partita truccata in cui la sua sembrò una prestazione maiuscola rispetto agli avversari.
Perché è facile criticare i tifosi ma se un calciatore per un’inter stagione agonistica viene impiegato solamente 139 minuti in Serie A, è naturale porsi delle domande. Lo scorso anno Lobotka non ebbe infortuni tranne una tonsillite primaverile a stagione abbondantemente compromessa. In campionato non venne mai schierato titolare da Gattuso. Mai. Di fatto, era unanimemente considerato un ex giocatore. Al punto che, quando alcuni giornalisti scrissero che Spalletti pensava a lui come al nuovo Pizarro del Napoli, la piazza reagì nel modo che ben conosciamo: dalle accuse di aziendalismo al tecnico, al repertorio ormai noto nei confronti di De Laurentiis.
Spalletti, immaginiamo, avrà dovuto lavorare molto sulla ricostruzione del calciatore. Essere sistematicamente ignorati per un anno – in una squadra che a centrocampo non schierava Ardiles, Tardelli o Barella – non può non avere conseguenze sulla propria autostima. E parliamo di un calciatore che vanta 32 presenze in Nazionale, che ha giocato due anni e mezzo in Liga col Celta Vigo e che tra l’altro è giovane, ha 27 anni.
Spalletti effettivamente ne ha fatto il nuovo Pizarro. Attorno al cileno costruì la Roma con Totti falso nueve, la squadra che giocava un calcio profondamente innovativo in Italia. E a Lobotka ha affidato le chiavi del centrocampo nelle prime due partite di campionato contro Venezia e Genoa. Poi un infortunio – uno dei tantissimi che stanno martoriando la stagione azzurra – lo ha messo fuori uso per circa un mese. È rientrato quando il Napoli aveva trovato il suo equilibrio. È rimasto in panchina per sei partite consecutive di campionato. Dopodiché, in concomitanza con l’infortunio di Anguissa e la defezione di Demme, Spalletti lo ha riproposto alla regia.
E Lobotka ha risposto con una prestazione sontuosa contro la Lazio. Favorita dalla cecità tattica dell’avversario che gli ha lasciato praterie (tant’è vero che ha toccato 150 palloni in quella partita vinta 4-0) ma lui quello spazio ha saputo capitalizzarlo. In pochissimi giorni, Lobotka si è reso praticamente indispensabile. Buona la sua partita contro il Sassuolo ed è stato prezioso contro l’Atalanta, al punto che con la sua uscita si è spenta la luce. È venuto meno l’uomo fondamentale per far ripartire l’azione e mandare a vuoto il primo pressing dei bergamaschi.
Cinque mesi fa, il 99% per cento dei tifosi del Napoli avrebbe accompagnato Lobotka su un treno per qualsiasi destinazione e adesso l’ambiente è col fiato sospeso per il suo infortunio. Spalletti ha restituito al calcio un calciatore che nel suo ruolo è di tutto rispetto e che, come tutti, messo in condizione di offrire il meglio di sé, può offrire un valido contributo alla causa. Il ruolo dell’allenatore è incredibilmente sottovalutato. Se ne capisce la difficoltà soltanto quanto si contano i danni che una guida tecnica può fare. L’importante è che prima o poi la società apra gli occhi.
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