Al Messaggero: «Oggi un allenatore ha 26 giocatori e gruppi di lavoro di dieci persone. La gestione degli uomini è la parte più delicata».

Il Messaggero intervista Carlo Ancelotti, allenatore del Real Madrid. Racconta cosa vuol dire per lui il Real.
«È il club con la maiuscola. C’è il Real e poi c’è il resto. A livello personale, per quello che ha rappresentato nella mia storia, anche il Milan è il club».
Da allenatore è stato a un passo dalla panchina della Roma, squadra importante nella sua carriera di calciatore:
«Solo una volta c’è stata una mezza possibilità, un colloquio con Franco Baldini. Tanto tempo fa. Peccato, mi sarebbe piaciuto allenare Francesco Totti».
Su come è cambiata la figura dell’allenatore nell’ultimo decennio:
«Nel 1995, quando iniziai questa carriera, le rose erano composte da sedici-diciotto calciatori e lo staff era di un paio di assistenti. Oggi hai ventisei giocatori a disposizione e gruppi di lavoro di dieci persone. La gestione degli uomini è la parte più delicata. Le statistiche e la tecnologia non rappresentano un problema, anzi. Analizzare gli allenamenti di squadre di paesi lontani è interessante. Contribuisce all’evoluzione del calcio. Fino a pochi anni fa la costruzione dal basso era impensabile. Adesso si gioca davvero in undici, anche se a mio avviso, quando il portiere tocca il pallone più volte di un centrocampista, qualcosa non quadra».
Su Klopp.
«Klopp mi piace perché uno come Mourinho: schietto e intelligente. In questi due anni della pandemia Jurgen ha lanciato diversi messaggi positivi».
I tre momenti del 2021 dello sport italiano?
«Gli ori di Jacobs e Tamberi a Tokyo. Il trionfo di Wembley: me lo sono goduto in Inghilterra, soddisfazione doppia. Il ritorno del pubblico negli stadi».