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Il mondo sconosciuto di un’atleta, Federica Pellegrini mostra cos’è lo sport a riflettori spenti

Underwater (su AmazonPrime) è un documentario che fa finalmente luce sui sacrifici, le ansie, i dubbi di chi pratica sport ad altissimo livello

Il mondo sconosciuto di un’atleta, Federica Pellegrini mostra cos’è lo sport a riflettori spenti
Gwangju (Corea del Sud) 22/07/2019 - Campionati Mondiali di Nuoto / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Federica Pellegrini

 

L’adattamento è una tua forza. Sembra che ti complichi la vita per metterti in condizione di tirar fuori tutto quello che hai.

È la frase che Bruna la psicologa di Federica Pellegrini le dice al telefono, in viva voce, dopo che lei ha fallito il tempo di qualificazione olimpica nei 100 metri stile libero. È una delle frasi che caratterizzano “Underwater” un documentario ben studiato e ben realizzato, che apre squarci tanto inediti quanto interessanti sull’universo sconosciuto di un campione, in generale di un atleta: la sua vita quando i riflettori sono spenti, il lavoro quotidiano, le ansie, i dubbi, il carico di aspettative che vengono affrontati per arrivare al top alla gara clou quando noi spettatori, dall’altra parte della barricata, accendiamo la tv e ci concentriamo per un paio di minuti, e poi gioiamo o imprechiamo e poi cambiamo canale. E magari ci sorprendiamo anche di fronte a reazioni emotive degli atleti di fronte alle telecamere.

Ecco Underwater va visto (è su AmazonPrime) perché mostra il backstage ed è un viaggio illuminante. Ce ne vorrebbero di più, molti di più, di documentari simili sullo sport. Per far comprendere il lavoro, la fatica, lo stress che bisogna sopportare per provare a essere competitivi, a vincere. Ci viene in mente una frase di Adriano Panatta che si trova su Youtube quando, a una trasmissione con Gaia Tortora, dichiara: «Lo sport professionistico non fa bene».

Il documentario è girato da una regista donna (Sara Ristori) e si vede, ed è prodotto dalla Fremantle. Non è un lavoro agiografico. Ripercorre sì la carriera di Federica Pellegrini, sempre con un’attenzione particolare allo stato di salute psicofisica dell’atleta, come se potessimo riguardare i suoi trionfi e le sue sconfitte dal suo punto di vista. E alterna questa ricostruzione storica con la preparazione di Federica per l’ultimo obiettivo della sua carriera: la partecipazione alla quinta Olimpiade e possibilmente alla finale. Preparazione che viene interrotta dal Covid e poi deve allungarsi di un anno per il rinvio delle Olimpiadi.

Il documentario si apre con Federica Pellegrini giovanissima che dice: “devo fare il piercing, fare la patente, dare la maturità”. Underwater rende perfettamente questa sensazione di clausura dell’atleta. Questa sensazione di vivere in una bolla. Ma non è una riedizione di “Open”, Federica non odia il nuoto come Agassi odiava il tennis (o almeno così ha detto). Ciononostante la vita di una professionista è dura da sopportare. Lei non se ne lamenta, tranne uno sfogo ai campionati italiani di Riccione, appunto dopo aver fallito il tempo sui 100.

Questa continua rincorsa a rincorrere il tempo, i tempi, le gare, prendi e parti e ti testi e ritorni e va una merda e ti devi tirare su e va un’altra merda e ti devi tirare su di nuovo e ancora e ancora, sono abbastanza stanca.

Underwater mostra il dietro le quinte che il telespettatore pur appassionato non può conoscere: le albe per partire, i tantissimi viaggi, le innumerevoli valigie da preparare, gli allenamenti estenuanti, anche in montagna, la lontananza dalla famiglia, gli alti e i bassi, il continuo e impietoso confronto col giudice inappellabile: il cronometro, il tempo. Il giudice inappellabile cui Federica dedica parole da fuoriclasse assoluta:

Tutto dipende dal tempo, effettivamente tutto è sempre dipeso dal tempo. Il mio rapporto col tempo è sempre stato un rapporto molto buono, nel senso che l’ho sempre ritenuto l’unico giudice supremo che può essere sicuramente o nemico o amico ma è un concetto oggettivo, senza perdono caritatevole, senza nessuna scusa.

Il tempo. Il tabellone. Una delle scene clou è legata a una delle sue più grandi delusioni: il quarto posto alla finale olimpica a Rio de Janeiro con Federica che a fine gara guarda continuamente il tabellone, come se non credesse ai suoi occhi.

Sullo sfondo c’è il rapporto con Matteo Giunta che la segue negli allenamenti ed è il suo compagno di vita. I continui confronti, le discussioni, la gestione di una campionessa che è allo stesso tempo formidabile e fragile.

Io sono sempre la pessimista che non si accontenta mai, e lui invece cerca di vedere sempre il buono però comunque il tempo non l’ho fatto quindi c’è poco da veder il buono.

Ci sono i genitori, c’è il fratello: formidabile la loro preparazione prima di una gara di Federica, fanno quasi il riscaldamento anche loro, seppure davanti alla tv. A Pechino, prima di vincere l’oro olimpico, deluse nella finale dei 400 che doveva essere la sua gara. Il padre racconta: «lei chiamò e disse, serafica: “tranquilli, non è successo niente, ho solo sbagliato gara”». E vinse l’oro sui 200. C’è ovviamente Castagnetti, ci sono i suoi disturbi alimentari, la bulimia, la preoccupazione dei genitori, ci sono i Mondiali a Roma. C’è una campionessa straordinaria. E c’è lo sport come dovrebbe essere vissuto e raccontato.

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