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Lo ammetto: non avrei mai ceduto Insigne. Ma ora vada via subito

Un grande amore non si cancella di colpo in una stanza d’albergo, tra qualche selfie di circostanza e, soprattutto, non con le pantofole di spugna usa e getta

Lo ammetto: non avrei mai ceduto Insigne. Ma ora vada via subito
foto Hermann

Lo ammetto, sono di quelli che ha voluto bene a Insigne. Di quelli cui brillavano gli occhi, regolarmente, per uno stop sontuoso, per un lancio di quaranta metri, per un no look illuminante nella nebbia di uno zeroazero, per un tiraggiro che finisse dentro, facendo dimenticare d’un colpo tutti gli altri…

Lo ammetto, io non lo avrei mai ceduto (e, infatti, non l’abbiamo ceduto; giusto), perché sono convinto ancora adesso che sia lui il più forte dei giocatori italiani che circolino oggi, l’unico con quella che Stephen King avrebbe chiamato la “luccicanza”; non il più utile di tutti, forse, ma giova alla salute privilegiare la bellezza sull’utilità, ogni tanto. E comunque la luccicanza è un lusso, checché ne pensi Jack Nicholson.

Lo ammetto, a me piaceva che fosse proprio lui il capitano, nell’era in cui quella fascia ha avvolto, sia pure per infortuni inopinati, sin anche bicipiti improbabili. E mi piaceva che il nostro capitano fosse un prodotto IGT (indicazione geografica tipica), come ribadito da certe sue colorite frequenti espressioni che mi alleggerivano dal peso di questi campionati tutti uguali, tutti o quasi in bianco e nero.

Lo ammetto, fino a stamattina io ero ancora convinto che “… ma figurati se va al Toronto” e che “… prima o poi l’accordo col Napoli lo trova, vedrai” perché sono rimasto, in fondo, ad un altro calcio, in cui Chinaglia non può andare mica al Frosinone, figuriamoci Insigne al Toronto. Sono rimasto a un altro calcio, ed è colpa mia. Infatti mi ostino a fare l’abbonamento allo stadio da mezzo secolo e neppure mi sono accorto che gli abbonamenti non li fanno più.

Lo ammetto, sono rimasto assai male leggendo oggi i giornali, e non per i milioni canadesi piovuti su Insigne (prosit!) in misura che continua a oscillare tra i tre e i trecento a seconda di chi scriva e di chi faccia i calcoli; ma per le pantofole di spugna fornite dall’albergo e indossate dal capitano al momento della firma. Perché un grande amore – parlo del mio – non si cancella di colpo in una stanza d’albergo, tra qualche selfie di circostanza e, soprattutto, non con le pantofole di spugna usa e getta. Se proprio doveva finire, avrei voluto altri effetti speciali.

Preferirei adesso – ed è l’ultima ammissione che mi concedo – che la storia si chiudesse qui , senza questa appendice di campionato resa già surreale dal covid e dall’ottusa intransigenza dei vertici federali, che i monatti manzoniani al confronto sono mastro Lindo. Figuriamoci se ci aggiungiamo la prevedibile lenta agonia che andrà a consumarsi, da qui a maggio, tra insulti espliciti e rimpianti nascosti.

Ricordo, come un vecchio classico dell’adolescenza, quando alle  ragazze si diceva: “Sarà meglio se stiamo lontani per un po’, solo per capire”. E succedeva, in genere, quando si era già capito tutto. Ecco, Lorenzo, siccome anche questo è stato un amore (con l’aggravante che, almeno io, non sono neanche tanto più adolescente), direi che è meglio, ormai, se stiamo lontani per un po’. Tanto abbiamo capito già tutto.

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