A Sette: «Molti in carriera hanno avuto paura di me, mi bocciarono pure un testo per lo Zecchino d’oro, chissà cosa ci lessero dietro»
Su Sette un’intervista a Cristiano Malgioglio.
«Da bambino sognavo di fare la soubrette, ci sono riuscito».
Racconta di non aver mai detto ai genitori di essere omosessuale. Gli chiedono se lo avevano capito.
«Camera mia era tappezzata di Marlon Bandro, James Dean, Raf Vallone. Mio padre perplesso chiedeva a mia madre: “Perché non appende Marylin Monroe?”. Lei rispondeva: ‘È piccolo, crescerà’».
Su sua madre:
«Si preoccupava quando mi vedeva pallido. In realtà ero semplicemente struccato, ma lei non se ne accorgeva. La mattina appena sveglio mi faceva lo zabaione. Poi io mi chiudevo in bagno a mettermi il fondotinta, tornavo in cucina e lei mi guardava compiaciuta: “Hai ripresto colore, vedi che le uova ti fanno bene?”»
Di lui, dice, hanno sempre avuto paura.
«Non so se definirli episodi di omofobia. Di sicuro avevano paura di me. Molti scambiavano l’ambiguità per volgarità. Leggevano nei miei testi ciò che non c’era, al tempo dicevano che il vero titolo di L’importante è finire fosse L’importante è venire. Falso. Mi ha ferito».
Si è sentito incompreso?
«Per me contava dire che non esiste né maschile, né femminile. È stato sempre questo il messaggio».
Quanta fatica per essere Cristiano Malgioglio?
«Mi bocciarono pure un testo per lo Zecchino d’oro. Una canzone su un gatto e un pulcino, mi pare. I preti sconvolti».
Cosa c’era di scabroso?
«Un gatto e un pulcino che andavano al lago. Ma vai a sapere cosa ci hanno letto dietro»