Ne ha parlato Mourinho domenica. Il Napoli di De Laurentiis non ha mai avuto teste calde. Victor è un uomo di eccessi. Va gestito, non anestetizzato
Osimhen ha modificato le impostazioni di privacy dei propri social network. Ne abbiamo scritto ieri. Si tratta di un atto quasi dovuto che segue alcuni comportamenti inaccettabili e dannosi per sé e per il Napoli. E infatti sono state subito apportate le dovute correzioni.
C’è qualcosa, però, in questo utilizzo che abbiamo definito incazzoso o comunque piuttosto singolare dei social network, che potrebbe essere in qualche modo salvato. Si tratta di quel che Victor, che è un ragazzo di ventidue anni cresciuto a Lagos in condizioni di profonda povertà, riflette con questi atteggiamenti indubbiamente fuori dagli schemi. Atteggiamenti che mantiene dentro e fuori dal campo. È un calciatore (o forse sarebbe corretto dire una persona) in costante tensione nervosa. In campo e fuori. Agisce. Corre, corre come un pazzo. A volte probabilmente comincia a correre ancora prima di riflettere. Eppure i suoi impulsi, a volte esagerati, producono una grossa carica adrenalinica. Almeno in chi scrive.
Osimhen è tutto nervi: quando prende velocità e scatta in profondità e quando reagisce ai difensori del Venezia, quando arriva tutto scoordinato nei contrasti e quando tiene – da solo – impegnate intere linee difensive degli avversari, quando svolta le partite con la sua esuberanza atletica e quando litiga con qualunque cosa si muova, in presenza e pure “a distanza”, tanto per adeguarsi ai tempi. Ad oggi, questo è. E più che prendere o lasciare sarebbe giusto smussare, lavorare.
Smussare, lavorare. Perché di quest’alta tensione bisogna tenersi qualcosa. Se a Napoli non facesse il calciatore, Osimhen probabilmente sarebbe uno di quelli che passano le serate al centro storico a bisticciare. Però si dà il caso che a Napoli faccia proprio il calciatore, e se lo si lasciasse completamente libero di avere quest’atteggiamento porterebbe più guai (fisici, disciplinari) al club che surplus; perché la sua tensione nervosa e il suo stress emotivo siano invece un valore aggiunto – perché possono esserlo – allora c’è bisogno del lavoro. Suo, del club, dell’allenatore.
Detto ciò, il fatto che Osimhen non sia esattamente un bravo ragazzo non è una brutta notizia. Come ha detto Mourinho pochi giorni fa dopo la clamorosa debacle nel finale contro la Juve, nel pallone spesso i bravi ragazzi non bastano. Ci vuole fame, ci vuole carisma, ci vuole personalità. Fuori dal campo e pure dentro al campo. E soprattutto per un Napoli cui storicamente manca quella cattiveria agonistica che invece Osimhen riesce ad esprimere. Variando lo spartito, sfiancando l’avversario, offrendo alternative. E forse pure facendo il capuzziello.
De Laurentiis, in questi anni, difficilmente ha convissuto con scugnizzi del genere. Osimhen (e forse Adl non lo sapeva, quando l’hanno preso) è un po’ una testa calda. Pare ormai chiaro. Ma è anche il simbolo del nuovo corso, che – specie con l’addio di Insigne – si prenderà sempre più spazio nei prossimi mesi e poi nelle prossime stagioni. Lui di questo corso può diventare il leader. Lo dimostra la scelta (che per lui sarà stata sicuramente sofferta) di rinunciare alla Coppa d’Africa per rimettersi in piedi e lo dimostra il fatto che in tutto quello che fa – nel bene e nel male – ci mette il faccione. Ecco, allora: se la sua «cattiveria» e la sua alta tensione nervosa saranno messe più sul campo che fuori, al servizio della squadra, con cultura del lavoro, per il Napoli dei bravi ragazzi che si specchiano – a cui spesso è mancata una certa personalità, una certa fame – potrebbe essere davvero una piccola grande svolta. Una manna dal cielo. O meglio, una manna da Lagos. La linea, come sempre, è sottilissima.