La pesista americana a Repubblica: «Io, nera e lesbica, so cosa vuol dire essere invisibile. Da ragazza vivevo vicino al mare ma ci dicevano che il mare è dei bianchi»

Su Repubblica un’intervista a Raven Saunders, atleta americana, medaglia d’argento nel lancio del peso femminile alle Olimpiadi di Tokyo. Il suo podio è stato al centro delle polemiche perché al momento della premiazione ha alzato le braccia sopra la testa incrociandole a X in segno di solidarietà con gli oppressi di tutto il mondo. Ha spiegato che quel gesto, quella x, è un punto di intersezione in cui si incontrato tutti coloro che non hanno voce per denunciare la loro situazione.
Raven Saunder ha 25 anni, è nera, dichiaratamente lesbica e nota attivista per i diritti delle persone Lgbt+.
«Volevo dare coraggio agli invisibili, agli inascoltati, ai non apprezzati, per far capire a tutti loro che non sono soli, che qualcuno li rappresenta, li ama. Serviva un gesto semplice, che fosse immediatamente visibile. È stata una decisione meditata».
Cos’è l’atletica per lei?
«È sempre stata un luogo ideale in cui potevo sfogare la mia vitalità. Ho anche giocato a basket, il mio mito era Michael Jordan: lui voleva essere il migliore e ha lavorato tutta la vita, nonostante fosse già la perfezione in Terra. Con l’atletica mi sono innamorata della storia di Florence Griffith, del suo stile in pista, dei suoi look stravaganti: cerco di essere un po’ come lei, a modo mio».
Gli atleti neri sono discriminati negli Usa?
«Se sei conosciuto, se hai successo, hai più privilegi. Ma torni immediatamente solo un nero dopo la carriera sportiva. Ho avuto una vita familiare complessa, con una madre single, e ho vissuto a Charleston, in un quartiere che era a mezz’ora dal mare: molti dei miei amici però al mare non c’erano mai stati. Il mare è dei bianchi, ci dicevamo».
Raven ha conosciuto anche la depressione. Ha raccontato di essere stata vicina al suicidio. Parla di Simone Biles, che ha fatto emergere il tema della salute mentale degli atleti alle Olimpiadi.
«Simone ha acceso la luce su un problema, prima ignorato. “Io non ce la faccio”, ora, è una cosa che la gente e gli sportivi possono dire più a cuor leggero. Il 90% degli atleti ha problemi mentali o li ha avuti durante la carriera. È il momento di smettere di considerare gli atleti solo delle macchine da medaglie».