Alla Gazzetta: «I singoli sono importanti, ma prima viene il gruppo. Tutti sono indispensabili e nessuno lo è: questo dev’essere il principio».

Sulla Gazzetta dello Sport un’intervista ad Arrigo Sacchi. Il tema è quello delle assenze che insidiano le varie squadre alla ripresa del campionato, per la Coppa d’Africa, il mercato e il Covid. Il ruolo dell’allenatore, in queste condizioni, diventa ancora più essenziale.
«Rispetto al passato, in più c’è il Covid. La Coppa d’Africa e il mercato ci sono sempre stati. Io credo che esista una sola soluzione: puntare sul gioco e non sui singoli. Ho sempre sostenuto: il gioco è il tuo miglior alleato, non s’infortuna mai».
Quando esiste uno schema di gioco preciso, la differenza tra schierare un titolare o una riserva diventa meno evidente.
«La differenza c’è, ma quando hai il gioco, cioè la trama, saranno gli altri dieci ad aiutare la riserva a comportarsi da titolare. Van Basten è stato un grandissimo, ma lo scudetto lo abbiamo vinto anche se lui è stato infortunato per quasi tutta la stagione: gli altri hanno saputo, attraverso l’entusiasmo, la modestia, l’etica del collettivo, sopperire alla sua assenza. Nel 1990 abbiamo vinto la seconda Coppa dei Campioni, e Gullit ha giocato soltanto la finale, e neanche tanto bene».
Chi possiede un gioco sarà avvantaggiato nella ripresa del campionato.
«Se un allenatore si è sempre affidato ai singoli e questi singoli non li ha, è un guaio. Se, invece, ha puntato sul gioco, ha creato un’organizzazione di squadra, allora può stare tranquillo. Io, quando sceglievo i giocatori, oltre a considerare la loro funzionalità alle mie idee, guardavo prima la testa e poi i piedi. Ho sempre pensato che i piedi li puoi aggiustare, la testa è più difficile».
Sul mercato e sui giocatori che, inevitabilmente, perdono la serenità, immersi nelle trattative relative al loro futuro:
«In questo periodo è necessario che un allenatore abbia alle spalle un club forte, dirigenti che hanno un progetto e lo perseguono. Penso all’Atalanta: c’è un presidente che ha tracciato la linea e da quella non ci si discosta. Il mercato è una tentazione che, quasi sempre, va tenuta lontana: i club, nella maggior parte dei casi, sono indebitati e io che vengo dalla piccola industria so che quando ci sono grandi debiti prima o poi arriva il fallimento. Sarà mica meglio sviluppare delle idee, anziché spendere altri soldi?».
E poi c’è un’altra questione: quella degli innesti nel gruppo, non sempre una cosa facile.
«Il calcio, non mi stancherò mai di dirlo, è un gioco di squadra. I singoli sono importanti, ma prima viene il gruppo. Quindi tutti sono indispensabili e nessuno lo è: questo dev’essere il principio».