Il tecnico livornese finora ha allenato una squadra ferma tra il vecchio che era morto e il nuovo che tardava a nascere. L’acquisto del serbo è il tentativo di imprimere una svolta
Qualche mese fa ci eravamo interrogati sulle ragioni alla base della scelta di Allegri di rifiutare la panchina del Real Madrid per tornare su quella della Juventus. Una scelta che ci appariva (e tuttora per certi versi ci appare) come fuori da qualsiasi logica. Allegri tornava a mettere la faccia su un progetto che aveva in larga parte addirittura osteggiato, manifestando delle divergenze con chi l’aveva gestito. Un progetto sulla strada di un fallimento annunciato, che pagava, dopo diversi anni, lo scotto di una serie di scelte sbagliate.
Di fatti, all’allenatore livornese veniva chiesto di riqualificarsi in Champions con una squadra che l’anno prima era riuscita fortunosamente a farlo solo grazie al suicidio clamoroso del Napoli di Gattuso. Con la differenza non da poco che in quella squadra giocava Ronaldo, uno che da solo fa 40 gol all’anno. Scrivemmo che se Allegri avesse fatto meglio del suo predecessore avrebbe fatto una cosa da ascrivere al libro dei miracoli. Esagerammo, forse, a utilizzare la parola “miracolo”. Eppure il girone d’andata del campionato ha confermato che per questa Juventus centrare il quarto posto resta una sfida tutt’altro che semplice, dai risvolti per niente scontati.
Gli iper critici di Allegri – quelli che non lo ritengono un grande allenatore e che anzi non perdono occasione per sostenere che lavora male – fanno finta che non sia così. E che anzi la Juve, per il sol fatto di essere la Juve e per il sol fatto di avere il monte ingaggi più alto del campionato, debba necessariamente lottare per il titolo. Francamente, restiamo interdetti. Allegri ha allenato, finora, una squadra «a termine». Non vederlo è da ipocriti. Una squadra che (ci perdonino l’accostamento) potrebbe essere categorizzata nell’interregno di gramsciana memoria, quello spazio dove il vecchio muore e il nuovo tarda a nascere.
Il vecchio, e col vecchio s’intende tutto il corpaccione che con Allegri ha vinto di tutto, appartiene inequivocabilmente al passato. Perché appartengono al passato i Ronaldo, i Pjanic, i Matuidi, gli Higuain e i Mandzukic ma appartengono al passato anche Dybala (che fa le occhiatacce ai dirigenti), Chiellini, Bonucci, Alex Sandro, Morata. Chi per ragioni squisitamente anagrafiche, chi perché è chiaramente alla fine di un ciclo, chi perché sa di essere una soluzione “tampone”, chi perché sente sulla pelle di non essere considerato un indispensabile. Il nuovo, invece, ha tardato e tarda a nascere. Tardava a nascere già l’anno scorso. Tarda a nascere quando De Ligt, che non si è imposto, chiede (tramite Raiola) di essere ceduto, tarda a nascere quando Arthur fa fatica a mettere tre presenze in fila, tarda a nascere quando Rabiot guadagna 7 milioni l’anno e non li vale, tarda a nascere quando il povero Chiesa, che era tra i pochi non «precari» del mondo Juve, deve rassegnarsi a stare fuori fino alla prossima stagione.
È un contesto in cui tenere saldo un gruppo nel presente è complicato. Figuriamoci quanto dev’essere complicato costruire un progetto con una credibilità.
Ecco: stante questa situazione, l’operazione Vlahovic può essere un toccasana vero per l’ambiente bianconero. Può essere la strada che proietta finalmente la Juventus di Allegri nel futuro. Non tanto perché la Juve ha bisogno di ritrovare i gol che ha perso con l’addio di Ronaldo. E neanche semplicemente perché fissa un caposaldo, che fosse uno, al progetto, che invece ora ha le sembianze di un progetto confuso, «a termine». Ma piuttosto perché Vlahovic alla Juventus è un colpo politico. Agnelli, che ora è fuori dalle prime quattro, in balìa di un destino a correnti alterne, va a Firenze, posa 75 milioni (capiremo come, ma li posa) e compra il capocannoniere del campionato, un ragazzo di vent’anni che ha dimostrato di poter spostare gli equilibri. Batte un colpo. Si dice indisposto al ridimensionamento.
È un colpo politico. Politico quanto il mancato rinnovo di Dybala. Se sarà il disperato colpo di coda di una dirigenza che tenta in ogni modo di salvare il salvabile o il reale inizio di un nuovo percorso, questo potrà dirlo soltanto il campo. Oggi, però, la Juventus fa già un po’ più paura. E Allegri ha già più margine.