Vivo a Venezia e sono contento di non essere andato allo stadio. Come del gol di Petagna ai supplementari. La Coppa d’Africa è quasi finita e il Napoli se la sta giocando
Sarebbe molto facile per me dire di non essere andato allo stadio perché sarebbe stato un tradimento alla non guardata. Come se uno non potesse andare al Penzo e mettersi di spalle, guardando invece del campo la darsena, del resto molti veneziani fanno così. Guardano le barche e ogni tanto si voltano verso il terreno di gioco, allertati da un fischio, da un grido. Ho l’obbligo di essere sincero: mi sono mosso un po’ tardi per i biglietti e quelli disponibili erano troppo cari, una cosa – per me e sottolineo per me – eccessiva. Il mio amico Marco mi fa notare che vista la durata della partita forse avrei potuto fare lo sforzo. Ho amici simpatici.
La partita è cominciata qualche giorno prima con la richiesta di informazioni. Fotografi che domandavano dove appostarsi per cogliere l’arrivo dei tifosi. Altri che chiedevano: a piedi o in vaporetto? E attracca qua, attracca là. E così via.
Poco prima dell’ora di pranzo abbiamo fatto un giro in zona stadio, così i cani hanno corso un po’ ai giardini di Sant’Elena. Ho visto l’arrivo dei primi gruppi di tifosi napoletani, un afflusso molto tranquillo, qualcuno arrivava a piedi, altri in vaporetto, un gruppo è sceso da un taxi. Una decina di persone hanno sbagliato e invece di entrare allo stadio si sono presentati sul ponte della Scuola navale della Marina, sono usciti dei poliziotti e hanno indicato lo stadio più avanti.
Hanno cominciato ad arrivare anche i veneziani, altrettanto tranquillamente.
Ho fatto quattro chiacchiere con i tifosi, una famiglia arrivava da Brescia, ai due bambini ho chiesto chi fosse il loro giocatore preferito, entrambi hanno detto Mertens. La mamma ha tirato fuori dallo zaino dei panini strepitosi. L’arma in mano ai tifosi del Napoli erano i panini.
Un tifoso del Venezia ha detto a una ragazza che era con lui: «Mi raccomando non diamo troppo nell’occhio», lei ha fatto cenno di sì, ma come me non ha capito.
Mentre riprendevamo la via di casa ho visto arrivare il Napoli e ho pensato che sia tipico mio – e di questa rubrica – andarmene all’arrivo della squadra del cuore.
Tornando indietro verso Piazza San Marco ho incontrato molti più tifosi del Venezia e qualche altro gruppetto di napoletani. Birre in mano ai primi, panini (ancora) nelle mani dei secondi.
Fino al cinquantesimo la partita è parsa così noiosa che ogni tanto schiacciavo “torna al live” pensando fosse colpa di Dazn, che per una volta era innocente.
L’ha rianimata l’arbitro inventando quello scontro meraviglioso con Ebuehi (che poi alla fine espelle, come a dire: e basta su).
Proprio quando stavo pensando di insultare Politano, dicendogli che sa solo sdraiarsi dietro la barriera, lui inventa un cross come si deve e Victor (che fa il centravanti) segna. Tutto molto bello. Poi ai supplementari, segna anche Petagna. A lui dategli sempre il Venezia. Il commento alla partita finisce qui, il Napoli domina ma tira troppo poco, non si può rischiare di pareggiare queste partite. Il Venezia è una squadra ben organizzata, che fa il suo, si salverà.
Sono contento di non essere andato al Penzo perché dai miei concittadini i cori inneggianti al Vesuvio non li accetto. Proprio qua a Venezia conosciamo la fragilità del luogo, abbiamo ben presente cosa significhi dipendere dalla natura, e come questa possa ribaltarci con un niente. Insomma, cantare Vesuvio lavali col fuoco e un po’ come dirsi Laguna annegaci con l’acqua. Esiste cosa più cretina?
Osvaldo Soriano in L’ora senza ombra (sur 2022, trad. G. Felici) scrive: «Viviamo in attesa di qualcosa e questo ci fa stare in piedi». Oggi quel qualcosa si è concretizzato nel colpo di testa perfetto di Osimhen.
La Coppa d’Africa finisce tra qualche ora, il Napoli è ancora là, se la sta giocando, complimenti ai calciatori e tanto di cappello a Spalletti.
Ribadisco il mio amore incondizionato per Di Lorenzo. Oggi era importante vincere e il Napoli ha vinto.