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Djokovic nel 2017 era “ideologicamente” contrario alla chirurgia. È un miracolo che sia ancora vivo

È mancato poco al fatidico “ho tanti amici vaccinati”. Non è no-vax ma è disposto a rinunciare alla carriera. Da campione a nazista dell’Illinois è un attimo

Djokovic nel 2017 era “ideologicamente” contrario alla chirurgia. È un miracolo che sia ancora vivo
Londra (Inghilterra) 14/07/2019 - Wimbledon / foto Antoine Couvercelle/Panoramic/ Insidefoto/Image Sport nella foto: Novak Djokovic ONLY ITALY

“Ho tanti amici vaccinati”. C’è mancato tanto così. Alla BBC non avrebbero colto subito la cialtronaggine italo-balcanica del messaggio. Avrebbero registrato Djokovic come hanno fatto, all’inglese. Rilanciando al mondo la prima intervista del miglior giocatore di tennis al mondo, ad un mese dall’espulsione con ignominia dall’Australia. Djokovic ha avuto un sacco di tempo per prepararsi a raccontare quella deflagrante disavventura umana e mediatica. E tutto ciò che è riuscito a produrre è un mirabolante

«Pur di non vaccinarmi sono disposto a non giocare a Wimbledon e al Roland Garros. Ma non sono no-vax»

Il controsenso logico è un virtuosismo. Dettato dal bisogno di difendere il principio egoistico – il corpo è mio e lo gestisco io – senza passare per un negazionista della pandemia. Il suo clan non dispone evidentemente di un Pr capace di intendere e di volere.

Djokovic ha detto che se il prezzo di non vaccinarsi è dover rinunciare al resto della stagione – al suo lavoro, ai record che ancora non ha battuto – beh, lui lo pagherà. Perché è uomo di principio. E “perché i principi del processo decisionale sul mio corpo sono più importanti di qualsiasi titolo o altro. Sto cercando di essere in sintonia con il mio corpo il più possibile“.

E’ un agonista spirituale. Un pezzo del Guardian di qualche mese fa ricordava anche che nel 2017 era convinto che il suo gomito infortunato guarisse da solo, grazie alla medicina olistica. Non voleva operarsi, perché era contrario “ideologicamente” alla chirurgia. Poi nel 2018, visto che il gomito – guarda un po’ – non guariva da solo, si operò. E quando si svegliò pianse per tre giorni: “Ogni volta che penso a quello che ho fatto, mi sento come se avessi fallito come persona”, disse al Telegraph. Cinque mesi dopo vinse Wimbledon. Piangendo. Djokovic crede che la telecinesi e la telepatia siano “doni di un ordine superiore”. Crede di poter depurare l’acqua pregando fortissimo. Il fatto che sia sopravvissuto a se stesso è miracolo. O, almeno, lui lo considererebbe tale.

“Non sono mai stato contrario alle vaccinazioni, ma ho sempre sostenuto la libertà di scegliere cosa mettere nel proprio corpo”, ora va dicendo. E che non è mica detto che in futuro non cambierà idea: “Stiamo tutti cercando di trovare collettivamente la migliore soluzione possibile per porre fine al Covid”.

“Collettivamente” significa “gli altri”: gli altri si vaccinano contribuendo a resistere all’avanzata del virus. Lui no: piuttosto che prestarsi preferisce rinunciare alla sua carriera, ma – attenzione – non è no-vax. Perché fa brutto dirlo. E’ uno schema sintattico, il distinguo patologico: “io non sono razzista ma…”, quella roba lì.

«Il motivo per cui sono stato espulso dall’Australia è perché il ministro dell’Immigrazione ha usato la sua discrezione per annullare il mio visto in base alla sua percezione che avrei potuto creare un sentimento anti-vax, cosa con cui non sono completamente d’accordo».

E’ avvincente la piega che ha preso la carriera di questo grande sportivo: da numero uno al mondo a nazista dell’Illinois.

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