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Ennio Morricone genio proletario con la forza del rigore e del talento

Dalla visione di “Ennio”, il documentario di Tornatore, si esce con un senso di gratitudine. Bruce Springsteen e Pat Metheny ne tessono le lodi e i ragazzi ne scrivono nei loro temi

Ennio Morricone genio proletario con la forza del rigore e del talento
Db Milano 27/02/2019 - Inaugurazione dell’Anno Accademico 2018/2019 dell’Accademia di Belle Arti di Brera / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Ennio Morricone

Dalla visione di “Ennio” il documentario che Peppino Tornatore ha dedicato al maestro Ennio Morricone – scomparso nel 2021 – si esce con un sentimento di gratitudine. Non solo e non tanto perché il regista di Bagheria riesce a dare attraverso le testimonianze del meglio dell’accademia musicale – Goffredo Petrassi, Boris Porena –, della musica leggera – Gianni Morandi, Edoardo Vianello, Caterina Caselli, Gino Paoli, etc… -, dei film – Sergio Leone, Peppino Tornatore stesso, Quentin Tarantino –, un ritratto del grande compositore romano, ma anche e soprattutto perché vediamo agire nella testimonianza diretta questo genio proletario che partendo dall’eredità di un padre trombettista riesce con la sola forza del rigore e del talento a diventare uno dei maggiori scrittori di musica del ventesimo secolo. Gli anni a Santa Cecilia quando si diploma in tromba ed in composizione: eppoi la militanza come arrangiatore alla RCA che salva dal fallimento. Ma i successi di Morandi, Meccia e Vianello gli vanno stretti e comincia a scrivere musiche per i film con uno pseudonimo: poi l’incontro con Sergio Leone e con “Per un pugno di dollari (1964)” e, “Per qualche dollaro in più (1965)”, si consacra come scrittore di partiture per il cinema.

È un crescendo che lo porta ad essere quasi un guru del genere western – Corbucci, Sollima -, ma già da quei primi anni ’60 tutti iniziano a notarlo ed a comprendere la sua grandezza che è capace di unire i suoni, i rumori e le note in tempi, accenti e motivi paralleli e diversi, seppure uniti in unità di tempo e di armonia. Ora non gli basta più essere riconoscibile come elemento costitutivo di un film ma ne diviene protagonista e lo connota quasi come sceneggiatore musicale: Petri, Salce, Faenza, lo vogliono tutti… Hollywood lo rende centrale con registi del calibro di Brian De Palma, Terrence Malik, Oliver Stone: e nascono capolavori come “I giorni del cielo”, “Mission”, “The untouchables” film le cui musiche vengono candidate all’Oscar. Ma solo con quelle di “C’era una volta in America (1984)” dell’amico Sergio Leone, l’accademia con Petrassi e Porena coglie finalmente la grandezza di Morricone e si scusa per non avere capito la sua grande capacità di unire le musiche dei film commerciali con partiture assolute. Gli Oscar non dati con i tre titoli citati gli vengono restituiti con gli interessi con la statuina onoraria alla carriera del 2007 che Morricone dedica alla moglie Maria, custode del suo talento. Poi, ancora, l’Oscar per le musiche del tarantiniano “The Hateful Eight” che gli valse anche il Golden Globe. Che bello vedere Bruce Springsteen e Pat Metheny tesserne le lodi ed i ragazzi di oggi inserire suoi temi nei loro pezzi: Morricone ha unito musicisti diversi come i “The Clash” e i “Metallica” senza cesure di senso nel nome del Dio della Musica. “La musica va prima pensata e poi scritta. Ci vuole un’idea prima di metterla su quel foglio bianco da cui noi non sappiamo cosa nascerà”. Uno dei pochi pluralis maiestatis che abbiamo amato.

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