Piano piano ci sono arrivati: non era Bella Ciao la grana. San Siro ha illuminato la sua “prestazione”. E ora anche Sarri è sotto accusa: è lui il mandante
Era luglio, faceva caldo pure ad Auronzo di Cadore. Hysaj era in mutande su una seggiola di trattoria, a storpiare Bella Ciao, convinto in cuor suo che fosse solo colonna sonora della Casa di Carta. Sono passati sette mesi, ora fa freddo. Lo ritroviamo a San Siro illuminato così, in sequenza:
Le due facce della stessa disumana vicenda. Una, quella di Leao che se ne va ad inaugurare il carosello del Milan in Coppa Italia, è esplicativa. Quasi sorride mentre si invola e quell’altro va a sbattere chissà dove. In quel frangente va rintracciata l’epifania degli ultras della Lazio: vuoi vedere che il problema di Hysaj non era politico?
Hysaj scontava un handycap di partenza, alla Lazio. Albanese, e pure partigiano a sua insaputa. I tifosi lo costrinsero alla resistenza, asserragliato sulle Dolomiti mentre provava balbettante a spiegare quella caduta così assurdamente “rossa”. Bella Ciao, ma siam pazzi. Seguì contestazione in rime baciate, striscioni di prassi. “Una cosa fuori dal mondo”, dichiarò il capo-ultrà Franchino. “Non poteva non sapere, è una canzone politicizzata”. Vessillo del nemico.
Quello sfondone li aveva distratti. S’erano mal-concentrati sulla questione ideologica, senza guardare il campo. Il campo, quello di Milano, ha infine sentenziato: no, l’eventuale fede politica era l’ultima delle grane.
La Gazzetta dello Sport gli dà voto 4. Il Corriere dello Sport idem. Stessa pagella: dalla sua parte sono scorribande continue, scrivono. La prima rete di quattro “è quasi inaccettabile a questi livelli”. “E’ stata una lezione senza pietà”. La colpa è di Sarri, un po’ per tutti. In qualità di mandante: Hysaj è l’esecutore materiale, Reina il complice. Un tris che a Napoli ricordiamo non senza qualche trauma.
Li avevamo avvertiti, con delicatezza. Da Castel Volturno se n’era andato minacciando: “Non è un addio, è un arrivederci”. Mentre ancora elaboravamo i lutti dei buchi col Cagliari e col Verona, dopo sei anni di stenti, Gattuso, pace all’anima sua, gli aveva tributato un plauso commosso: Hysaj si sacrificava allenandosi col contratto in scadenza, ribadiva.
Ci sono voluti sette mesi di indagini per giungere a formulare un capo d’accusa come si fa adesso: sui social. Chiave di ricerca “Hysaj”. Il “popolo” ha sbottato, e agli ultras è infine apparso in tv il faccione perplesso di Tare:
A questo punto – metà campionato inoltrata – alla intuitiva critica laziale non resta che analizzare il quadro generale e puntare al bersaglio grosso. In fondo Maurizio Sarri è sempre stato lì. Non poteva non sapere. Vuoi vedere che pure per lui il problema non era il suo curriculum da Che Guevara del pallone? In fondo Hysaj non è la malattia, è il sintomo.