La crescita di intensità della squadra di Inzaghi ha messo in evidenza quello che ormai è il suo unico – e quindi ultimo – problema: la distonia tra gioco di possesso e gioco verticale.
Un tempo a testa
Il risultato finale di Napoli-Inter è giusto, esattamente come la lettura di Massimiliano Gallo sulla maggiore maturità e consapevolezza espresse dalla squadra nerazzurra nel secondo tempo. Dal punto di vista tattico, in maniera non differente rispetto all’andata, la superiorità dell’Inter si è manifestata nel momento in cui la squadra di Simone Inzaghi – squalificato – è riuscita ad aumentare l’intensità del proprio gioco. E così ha rovesciato l’inerzia di una partita che, per i nerazzurri, era cominciata piuttosto male.
Dall’altra parte del campo, invece, il Napoli ha mostrato di avere un’identità profonda, solida e ben riconoscibile. Forse anche troppo radicata, se pensiamo che dopo il pareggio di Dzeko è riuscita solo in pochissime occasioni a uscire in maniera convincente dalla sua metà campo. Merito dell’Inter, come detto, ma anche demerito della squadra di Spalletti, che per svariati motivi – mancanza di fiducia, di forza fisica, di meccanismi fluidi – ha smesso di essere quella che si è vista nel primo tempo. E la differenza si è percepita eccome. Ma andiamo con ordine.
Il Napoli ha iniziato la partita come ci si aspettava, ovvero schierandosi con il 4-2-3-1/4-4-1-1 d’ordinanza, e con il rientro di Koulibaly – al posto di Juan Jesus – come unico cambio di formazione rispetto a Venezia. Il fatto che gli azzurri siano scesi in campo con gli stessi giocatori e con le stesse spaziature dell’ultima gara non basta, però, a raccontare il loro approccio tattico. Fin dai primi minuti, infatti, la squadra di Spalletti ha cercato di sfruttare il più possibile l’ampiezza del campo. In questo modo, l’Inter – schierata a sua volta con il suo modulo di riferimento, il 3-5-2/5-3-2 – è stata costretta a giocare in costante inferiorità numerica sugli esterni.
L’importanza del due contro uno sulle fasce laterali
L’azione appena sopra è quella da cui nasce la rimessa laterale che porterà al fallo da rigore su Osimhen. Ma questa tendenza all’ampiezza è riscontrabile nell’intero primo tempo del Napoli, e sono i dati a dirlo/mostrarlo: secondo le rilevazioni della Lega Serie A, la squadra di Spalletti ha avuto una larghezza media sul campo da gioco pari a 37 metri nel primo tempo; questo stesso dato è sceso nella ripresa, fino a sotto i 34 metri; più di tre azioni su quattro (il 76%) sono nate sulle corsie laterali. Sotto, invece, vediamo tutti i palloni giocati da Insigne e Politano – prima, ovviamente, che l’esterno ex Sassuolo e Inter fosse costretto a lasciare il campo per un problema muscolare.
In alto, tutti i palloni giocati da Insigne; sopra, i tocchi di Politano. In questi due campetti, il Napoli attacca da sinistra a destra.
Rispetto alla partita di Venezia, durante la quale quale Insigne ha giocato spesso in una porzione di campo più centrale, contro l’Inter la strategia di Spalletti è stata quella di allargare il fronte offensivo su entrambe le corsie. Come abbiamo detto sopra, si è trattata di una scelta dettata dalle spaziature/abitudini dell’Inter, che in pratica ha un solo laterale puro a presidio delle fasce laterali. Tenendo costante aperti sui lati Insigne e Politano, Di Lorenzo e Mário Rui avrebbero avuto grande libertà; oppure avrebbero costretto i due intermedi di centrocampo (Cahlanoglu e Barella) e/o i due braccetti della difesa a tre (Skriniar e Di Marco) ad allargarsi per seguirli. In questo modo, inevitabilmente, ci sarebbero stati spazi al centro in cui muovere il pallone e far muovere i vari Lobotka, Fabián Ruiz, Zielinski.
L’importanza del due contro uno sulle fasce laterali/2
In questa occasione, con Perisic salito in pressing sul possesso palla di Di Lorenzo, è stato Dimarco a dover scalare per coprire su Politano – rimasto larghissimo per ricevere il pallone nonostante il Napoli sia uscito dalla difesa passando dal centro. In questa azione, si vedono altre due chiavi tattiche molto interessanti attuate dalla squadra di Spalletti nel primo tempo: il ribaltamento del triangolo di centrocampo e la profondità di Osimhen.
Il primo meccanismo è facile da individuare e da spiegare: quando il Napoli impostava dal basso, spesso Lobotka – più portato a muoversi per ricevere il pallone dai centrali difensivi – rompeva la linea del doble pivote andando all’indietro, e allo stesso tempo Zielinski si allargava dal suo lato per creare una linea di passaggio dietro alle spalle del centrocampo dell’Inter; contestualmente, Fabián Ruiz attaccava il lato debole, e così si creavano le condizioni affinché il 4-2-3-1 del Napoli diventasse un 4-3-3 oppure anche un 4-1-4-1. Ma perché si determinavano quelle voragini tra difesa e centrocampo dell’Inter? Risposta semplice: grazie alla presenza di Victor Osimhen. Proprio la seconda chiave, di cui parleremo ora in maniera approfondita.
Le due anime del Napoli
Nel corso del primo tempo, il Napoli è riuscito a tenere e a governare bene il pallone per un tempo sostanzialmente pari a quello dell’Inter (il dato grezzo del possesso dice 51%-49% in favore della squadra di Spalletti). Come abbiamo visto sopra, l’idea degli azzurri era quella di muovere il pallone sugli esterni per sfruttare la disposizione dell’Inter e creare superiorità numerica in quelle zone di campo. Nel contempo, però, Osimhen ha fatto un importantissimo lavoro di allungamento della difesa avversaria. E non solo perché De Vrij non è stato in grado di contenerlo: la forza, la fisicità e i movimenti classici – e quindi ripetuti – del centravanti nigeriano hanno costretto l’olandese e un altro suo compagno a non restare alti. A catena, come anticipato nei paragrafi precedenti, il Napoli ha avuto la possibilità di gestire il possesso in spazi larghi.
In quest’azione, Insigne converge al centro mentre Mário Rui e Politano danno ampiezza; Osimhen tiene impegnati due centrali avversari nella sua zona.
Qui Osimhen è completamente scollegato dal resto dei suoi compagni. E non è una critica, tutt’altro: questo era e doveva essere il suo compito in quel momento della partita, con quella situazione di punteggio. La presenza di un attaccante del genere – così forte, con quelle caratteristiche specifiche – cambia inevitabilmente la fisionomia e l’atteggiamento di chi deve affrontarlo. Anche di una squadra di qualità come l’Inter, che però nel frattempo doveva cercare anche un modo per bloccare la costruzione articolata dei vari Lobotka, Fabián Ruiz, Mário Rui, fino ad arrivare a Zielinski, Insigne, Politano.
Nel primo tempo, insomma, l’Inter non ha trovato le giuste contromisure per poter rispondere a una squadra che ha manifestato benissimo le sue due anime: quella del possesso e quella del gioco verticale, incarnata da Osimhen. E sono i dati a confermarlo: sopra abbiamo snocciolato quello del possesso palla, ma anche tutti gli altri indicatori sono favorevoli al Napoli. A cominciare da quello relativo ai tiri (8-3), passando ai palloni persi (4-12) fino ai calci d’angolo (2-0).
Intermezzo: Politano ed Elmas
Prima di parlare di ciò che è successo (cambiato) nei secondi 45′ di gioco, è necessario fare una premessa. Nell’ambito di questa rubrica – chi la segue lo ricorda sicuramente – Matteo Politano è considerato un calciatore fin troppo monodimensionale, un esterno creativo a piede invertito non proprio adattabilissimo a una squadra che non giochi come piace a lui, ovvero dandogli la possibilità di ricevere il pallone come e dove piace a lui, di giocarlo sempre in un certo modo. Tutto questo lo rende poco funzionale in un sistema tattico liquido come quello adottato da Spalletti fin da quando si è seduto sulla panchina del Napoli, se non in alcune partite. Tipo quella di ieri sera. Una gara per cui, lo ripetiamo, è stato lo stesso Spalletti a immaginare e attuare una strategia fondata sugli esterni, sull’ampiezza. Quindi anche sulle caratteristiche di Politano.
Perché abbiamo parlato di Politano? Per via del suo infortunio. O meglio: per raccontare come l’ingresso di Elmas – un esterno con caratteristiche diverse, un calciatore che preferisce giocare negli spazi di mezzo piuttosto che in ampiezza – non sia stato funzionale al piano partita preparato da Spalletti. Insomma, già a partire dal 26esimo (momento della sostituzione forzata Politano/Elmas) il Napoli è stato costretto a rivedere i suoi piani tattici. E non è più riuscito a creare occasioni nitide e a controllare agevolmente il gioco come nella prima parte della partita.
La ripresa
L’Inter è rientrata in campo nel secondo tempo con un piglio diverso, e ha trovato un Napoli meno sicuro, meno fluido ed efficace, rispetto a quello affrontato nei primi 45′. Certo, il gol di Dzeko – decisamente fortunato – è arrivato dopo pochi secondi dal fischio d’inizio della ripresa, quindi non c’è stato materialmente modo di capire come la squadra di Spalletti avrebbe gestito il vantaggio contro un avversario così rinfrancato dall’intervallo. Ma in cosa è cambiata l’Inter? Quali sono state le modifiche tecnico-tattiche che hanno portato a un ribaltamento totale della partita?
I dati sul baricentro e una loro “traduzione” in campo
Basta guardare questo campetto e questo fermo immagine per capire che la differenza, tra il primo e il secondo tempo dell’Inter, l’ha fatta l’intensità. Come successo anche nella partita d’andata, per recuperare il risultato la squadra di Inzaghi si è alzata sul campo e così ha reso più complicata la gestione del pallone da parte del Napoli. In questo modo, ha finito per avere un possesso palla maggiore (il dato grezzo della ripresa dice 57% Inter e 43% Napoli) e una presenza offensiva decisamente più alta rispetto al primo tempo.
I dati sono una cartina tornasole, in questo senso: nella ripresa, il numero di tiri è stato pari (5-5), ma poi tutti gli altri indicatori sono favorevoli all’Inter, tra cui quello relativo ai dribbling (7-2), ai palloni persi/recuperati (9-7) e soprattutto quello che riguarda i passaggi verso l’ultimo terzo di campo (addirittura 74-27). Come in tutte le gare di questa stagione, il Napoli ha sofferto avversari in grado di gestire con qualità il possesso palla; in più, per l’Inter, aggiungiamoci anche una netta supremazia puramente fisica, antropometrica. Questa differenza si è avvertita soprattutto nei mismatch sugli esterni: un ottimo Perisic ha travolto un Di Lorenzo stranamente svagato; Dumfries ha potuto superare agevolmente Mário Rui.
È così che la strategia preparata da Spalletti – creare pericoli sfruttando le fasce – si è ritorta contro il Napoli. Nella ripresa, oltre a quello che ha portato – fortuitamente – al gol di Dzeko, l’Inter ha cercato il cross addirittura per 12 volte; e poi tutti i lanci che hanno sorpreso alle spalle i difensori del Napoli erano diretti sulle fasce, quindi anche loro preludio a un pallone messo a centro area dagli esterni.
Le due anime del Napoli (che a volte danno problemi)
In questa condizione di inferiorità, il Napoli ha manifestato quello che ormai è il suo unico – e quindi ultimo – problema: la distonia tra gioco di possesso e gioco verticale. Non è un caso che Spalletti, nel postpartita, abbia detto che «Osimhen deve imparare a fare le scelte giuste». È evidente come il tecnico del Napoli alludesse al fatto che il Napoli della ripresa, schiacciato dalla pressione dell’Inter, avrebbe avuto bisogno di un centravanti in grado di capire come e quando allungare il campo, ma anche come e quando accorciarlo, così da dare sfoghi diversi al possesso palla. Solo che Osimhen, per caratteristiche e per inesperienza, non ha ancora questa sensibilità.
Cosa c’entra tutto questo con il Napoli della ripresa? Il problema è che la squadra di Spalletti riesce a essere efficace quando può gestire il pallone e quindi i ritmi della gara. Contro un avversario più intenso e aggressivo, è più difficile tenere il possesso e quindi è più difficile imporre questa anima. Di conseguenza, Osimhen non può essere azionato, se non con azioni casuali. Non a caso, l’unico tiro del centravanti nigeriano nella ripresa è stato quello rasoterra deviato da Handanovic dopo l’errore in costruzione bassa di Barella. Ecco, forse sarebbe servito provare a inserire Mertens qualche minuto prima, e nel ruolo di prima punta del tridente, per verificare se un attaccante più associativo avrebbe spezzato il predominio territoriale dell’Inter. Ma ovviamente si tratta di un dubbio che non potremo mai risolvere.
Conclusioni
In ogni caso c’è un dato significativo: il Napoli della ripresa, pur domato e disinnescato dall’Inter, non ha concesso altre occasioni nitide ai nerazzurri. Come detto anche prima, il numero di conclusioni tentate è stato addirittura pari, e anzi quello del gol di Dzeko è stato l’unico tiro nerazzurro finito nello specchio della porta di Ospina. Questo vuol dire che la squadra di Spalletti, al di là dei problemi offensivi manifestati anche per merito di un avversario di grande fisico e di grande qualità, ha un sistema difensivo efficace. Persino in una notte in cui Di Lorenzo è apparso poco reattivo in fase passiva, e arruffone in quella offensiva.
Il recupero di Anguissa avrà un peso importante nel lavoro in allenamento da qui a fine stagione. Per assenze e contingenze varie, il Napoli si è trasformato in una squadra essenzialmente di possesso, meno intensa nella fase difensiva. Il ritorno del centrocampista camerunese restituisce a Spalletti la possibilità di alzare un po’ l’aggressività e di allungare di nuovo il campo per agevolare Osimhen. Ma c’è anche da considerare un altro aspetto: al di là della sfida al Barcellona, il Napoli non dovrà affrontare nessun’altra squadra del livello dell’Inter. Lo stesso Milan, che ha valori inferiori ma non troppo lontano da quelli dei nerazzurri, gioca in maniera diversa.
E allora questo lavoro di completamento, di integrazione, potrà essere testato contro squadre forse più abbordabili. Mentre la classifica dice che il campionato è ancora aperto. Il fatto che la differenza con l’Inter sia stata minima, per qualità tecnica e tattica, è una conferma rispetto alla grande forza del Napoli. E pure rispetto all’enorme lavoro compiuto da Spalletti.