Col Barcellona un suicidio tattico. Forti perplessità sulle preparazione atletica. E la misteriosa gestione della partita in Sardegna
Dopo la rovinosa sconfitta contro il Barcellona è tempo di un primo bilancio della stagione. E in particolare della stagione di Spalletti. Al tecnico vanno riconosciuti grandi meriti nella gestione della rosa. Si pensi soltanto al rendimento di Lobotka e di Juan Jesus accompagnati inizialmente da grande scetticismo. E invece da annoverare tra i calciatori con il miglior rendimento. Si pensi anche alla accorta gestione del caso Insigne. Così come sono apparse a lungo ottimali le scelte tattiche e la capacità di visione delle partite dalla panchina. Ma accanto ai dati positivi emergono anche perplessità. Innanzitutto il dato della insoddisfacente condizione atletica del gruppo nel suo complesso. Con una catena di infortuni muscolari da record. E con i giocatori incapaci da qualche partita di arrivare per primi su una seconda palla. È vero che esistono i preparatori atletici. Ma è pur vero che le responsabilità complessive sono del tecnico che presiede e coordina tutte le fasi della preparazione. Tecnica. Atletica. Psicologica.
Se stiamo ai fatti dobbiamo constatare, non senza tristezza e disappunto, che il Napoli ha rovinosamente fallito le prime due sfide stagionali. Coppa Italia e Europa League. In particolare nella competizione europea il Napoli ha confezionato figuracce uscendo ai sedicesimi. Ciò perché non è riuscita a vincere un girone abbastanza facile. Ed in conseguenza di ciò è andato a infrangersi sul Barcellona. Per la scelta di ostinarsi sulla costruzione dal basso contro i catalani Spalletti è stato sommerso dalle critiche ed ha rimediato una mortificazione che francamente poteva essere evitata. Siamo chiari contro il Barcellona quasi certamente avremmo perso comunque. Ma la scelta di Spalletti di misurarsi con gli avversari sul piano del palleggio dal basso è apparsa a tutti un vero e proprio suicidio. Eppure ci sembrava di aver capito che Spalletti non fosse un talebano affetto dall’idolatria delle proprie idee tattiche. Che fosse flessibile e pragmatico. E invece…
A questo punto se il Napoli va in Champion tout court la stagione del tecnico toscano potrà essere considerata sufficiente. Se ci va a valle di un finale di campionato che veda gli azzurri lottare seriamente per il titolo ( ho detto lottare non vincere) potrà essere considerata buona se non ottima. Non voglio ritornare sulle sventurate, per motivi differenti, partite contro Empoli, Spezia e Sassuolo con otto punti dissennatamente buttati al vento. Quello che mi preoccupa è ciò che è avvenuto a Cagliari. Dove la squadra è sembrata quasi disinteressata alla dimensione della posta in palio. E dove forse si è commesso (da parte di chi? ) l’errore di considerare più importante l’incontro con il Barcellona di quello con i sardi. Lasciando a Cagliari a casa o in panchina giocatori “ infortunati” e poi dopo tre giorni miracolosamente risorti di fronte alla prospettiva di esibirsi su un grande palcoscenico televisivo internazionale. Chi ha deciso di tenerli fuori? Lo staff medico? Oppure lo hanno deciso gli stessi giocatori? Restiamo convinti che la stagione del Napoli, e quindi di Spalletti, si sia decisa nella partita di Cagliari la cui gestione complessiva resta per noi un mistero. Naturalmente speriamo di sbagliarci e che il Napoli non resti seppellito dall’umiliazione inflittagli dal Barcellona e che infili magari un filotto di dodici vittorie. Tra Wagner (il crepuscolo degli dei) e Shakespeare ( sogno di una notte di mezza estate) preferiamo il secondo. In fondo sognare aiuta a vivere.