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Con “I cassamortari” Claudio Amendola ci ricorda che cos’è una commedia

Quando si vuole fare una buona commedia bisogna avere grandi attori e alternare trovate che strappano risate di gola a riflessioni profonde

Con “I cassamortari” Claudio Amendola ci ricorda che cos’è una commedia
Dopo la delusione di “C’era una volta il crimine” ci riapprocciamo ad una commedia all’italiana visto che Amazon Prime video ne propone una nuova di zecca: “I cassamortari” scritto e diretto da Claudio Amendola, con l’aiuto alla sceneggiatura di Kissy Dugan e Roberto Jannone.
Roma, anni 60, nella lotta tra cassamortari c’è Giuseppe Pasti (Edoardo Leo) che nel ramo dei funerali si fa strada corrompendo infermieri ed evadendo tasse con il motto, “tutti devono morire, ma sono in pochi quelli che ci guadagnano”. Giorni nostri: i ragazzi Pasti sono cresciuti ed ora la “Exequia” continua l’attività del capostipite reiterando i vecchi giochetti. A capo di questa romanissima Famiglia Addams c’è il Pasti maggiore, Giovanni (Massimo Ghini), cinico ed avidissimo. Completano il rooster Maria (Lucia Ocone) collezionatrice di amplessi di vedovi inconsolabili; Marco (Gian Marco Tognazzi) tanatoestetico dei cadaveri ed il piccolo e tecnologico Matteo (Alessandro Sperduti) mago dei social e dei likes.
La famiglia – in lotta con quella concorrente dei Taffo rappresentata dal capofamiglia (Massimo Dapporto) – è completata dalla mamma Anna (Giuliana Lojodice) sintesi dell’egoismo familiare. Per un guaio fiscale il clan potrebbe però trovarsi in un fallimento se non ci fosse un colpo gobbo che riaggiusti tutto e quest’occasione viene fornita dalla morte del cantautore Gabriele Arcangelo (Piero Pelù) sorta di icona rock drogata che predica contro le droghe, idolo di Maria Pasti. Giovanni accetta il funerale di grido – solo in forma privata – dalla manager del morto, Maddalena Grandi (Sonia Bergamasco) che su invito della figlia del rocker, l’anaffettiva Celeste (Alice Benvenuti), gli commissiona una cerimonia in grande stile. Il mondo in cui viviamo – “basta dire una cazzata, ma raccontarla bene” – induce poi i protagonisti – impegnati in giochi delle coppie sempre più definiti – a cercare di trarre dalla morte del cantante quanto di più lucroso e mai tentato nel campo degli eventi.
Il film vira in una direzione inaspettata che ci conferma che quando si vuole fare una buona commedia – e noi italiani siamo maestri in questo – bisogna avere grandi attori e dosare bene – in dialoghi ben costruiti – il comos ed il tragos della vita, alternando trovate che strappano risate di gola a riflessioni che facciano prendere alle vite rappresentate direzioni umane inimmaginabili.
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