La giocata laterale di Miettaunàs, la progressione di Elmas, l’appoggio di Insigne, lo spagnolo che accorre. Il festeggiamento più grande di quanto potessimo programmare pochi istanti prima
Il cronometro segnava il minuto 93 e 32 secondi quando tre maglie celesti correvano a circondare, per l’ennesima volta dal suo ingresso, Ounas (Miettaunàs) che riceveva palla sulla fascia. Forse Sarri ricordava le sue qualità e aveva ordinato ai suoi di bloccarlo prima ancora che avesse la possibilità di pensare. Ounas (Miettaunàs), fregandosene del raddoppio e della triplicazione di marcatura, la faceva passare per Elmas creando un tre contro tre insieme a Insigne e Osimhen che potevano puntare i tre difensori avversari rimasti a guardia della porta.
Intanto il cronometro segnava novantatré minuti e trentaquattro secondi. È stato quello il primo momento che ha lasciato il tifoso sospeso in un tempo indefinito. Il cronometro indicava la famosissima ultima chance che l’esperienza ci ha insegnato essere inutile. Immobili davanti alla televisione e nel settore ospiti tutti abbiamo provato a indirizzare Elmas verso la scelta migliore, verso la scelta che potesse consentirci di recuperare i due punti che, sei minuti prima, ci erano stati levati dalla sventola di Pedro che Ospina non era riuscito a trattenere. Immobili, tutti abbiamo provato a comunicare con Eljif facendogli un discorso concitato, unanime, quasi a costituire l’ultimo, telepatico, coro da stadio del match.
Dalla a Victor che ci pensa lui, anzi no, sta laterale, lo bloccheranno; dalla a Insigne, anzi no, quello sta pensando al Canada e se la farà levare dai piedi; fai così accentrati e tira, provaci tu, salvaci da questa ennesima delusione, anzi no, se ti accentri si chiuderanno in tre davanti e non ci sarà più tempo. Forse è meglio Osimhen, anzi no, Insigne, anzi no, pensaci tu.
Tre interminabili secondi durante i quali tutti noi, insieme, se fossimo riusciti a far arrivare i nostri pensieri a Elmas avremmo ottenuto, probabilmente, il risultato di farlo fermare, farlo girare verso le telecamere e poter intravedere il suo labiale scandire, in macedone stretto, le parole “Guagliu’ state scassando ‘o cazzo!”
La verità è che, in quei tre secondi, nella testa di Elmas saranno passate più o meno le stesse considerazioni che hanno attraversato i nostri pensieri. Ed è stata questa certezza che ha generato lo sgomento totale e generale al minuto novantatrè e trentasette secondi quando abbiamo visto che la decisione finale era stata quella di appoggiare a sinistra, ad Insigne. L’ultima occasione era stata affidata ai piedi di Lorenzo Insigne. Sulla sua mattonella preferita. Dopo aver segnato il primo gol su azione di questo campionato alla 27 giornata, Elmas aveva deciso di appoggiarsi su di lui generando il secondo momento di sospensione nelle emozioni di noi, poveri cristi, tifosi del Napoli.
Al minuto novantatre e trentanove secondi, Insigne riceveva, controllava e si aggiustava la palla come gli abbiamo visto fare migliaia di volte.
Cinque secondi dopo che Ounas (Miettaunàs) e Elmas avevano acceso la fiammella dell’ultima speranza, il cuore dei tifosi si riempiva nuovamente di sconforto. Tutti, nessuno escluso, hanno visto, prima che accadesse, il presunto esito dell’azione e della partita. In quei due secondi abbiamo visto Insigne spostare la palla, prendere una rincorsa di tre passi, colpirla con il destro e poi abbiamo visto la palla che, lenta come in uno slow motion, girava verso la porta. Abbiamo visto, ad ogni giro, che la portanza generata non era sufficiente a far deviare la palla verso l’angolino alla sinistra di Strakosha. Abbiamo visto la palla finire in curva, abbiamo sentito le nostre bestemmie e quelle di milioni di altri tifosi sparsi in giro per il mondo, abbiamo sentito Borghi e Montolivo disquisire sulla posizione troppo arretrata del corpo che aveva generato un tiro troppo alto, abbiamo sentito i fischi del settore ospiti e l’esultanza dello Stadio Olimpico. Abbiamo avuto voglia di spegnere le televisioni i computer i telefonini per andare a fare quello che, negli anni, abbiamo imparato a fare meglio. Ci siamo visti andare ad aprire il forno per mangiare avanzi di Lasagna del pranzo dicendoci che, in fondo, lo sapevamo, che nei momenti clou veniamo sempre meno, che ci eravamo illusi e che c’era da aspettarselo. Ci siamo visti intingere le chiacchiere nel sanguinaccio dicendo che i due tocchi di mano di stavolta erano più rigori di quello che ci hanno fischiato contro il Barcellona ma che, tanto, si sa, in Italia, a noi, non li avrebbero fischiati mai. Ci siamo visti increduli in cerca di qualcuno a cui dare la colpa, a stratracannare a stramaledir le donne il tempo ed il governo.
Nessuno di noi ha immaginato che quel movimento, visto e bestemmiato tante volte, si sarebbe trasformato, un secondo dopo, al minuto trentanove e quaranta secondi, a venti secondi esatti dal fischio finale, in un appoggio per l’accorrente Fabiàn. Un secondo che è durato un secolo. In poco meno di un secondo, abbiamo visto il piede destro di Lorenzo Insigne cambiare posizione, allargarsi per colpire la palla con il piattone interno e abbiamo visto Ruiz che stava già caricando il sinistro. Il turbinio di sconforto che ci aveva invaso è stato messo in dissolvenza, nuovamente, con la speranza. Le bocche sono rimaste aperte, le mani sono rimaste a mezz’aria, in attesa, indecise tra il gesto di esultanza e quello dell’improperio, gli occhi si sono spalancati nell’attesa e hanno visto girare il pallone.
Questa volta, i giri erano giusti, la portanza generata è stata sufficiente. La palla ha percorso esattamente la curva che doveva percorrere.
Al minuto novantatre e quarantadue secondi, dopo dieci secondi di vertiginosi sbalzi di umore, le mani, Le braccia, le bocche, le gambe, gli occhi di tutti hanno perso il controllo e hanno festeggiato più di quanto razionalmente avessimo potuto programmare e sperare appena trecentosettanta secondi prima.