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L’operazione anti-Agassi delle sorelle Williams che col film King Richard riabilitano il padre

L’Oscar a Will Smith per il film biografico autoprodotto di Venus e Serena: la loro verità sul padre contro la narrazione bianca del tennis

L’operazione anti-Agassi delle sorelle Williams che col film King Richard riabilitano il padre

Devi avere la costanza di arrivare ai titoli di coda, e aspettare la più emotiva di tutte le americanate hollywoodiane – la carrellata di foto di repertorio per rinfacciarti quanto è ben fatta la finzione cui hai appena assistito, un classico – per riconsiderare la grandezza di King Richard. Il film biografico, quasi documentaristico, che le sorelle Williams si sono autoprodotte per ribaltare un’altra operazione di gran successo tra tennis, racconto e psichiatria: Open di Agassi. C’è un padre ossessionato che prefabbrica campioni, anche qui. Ma la dissonanza è che Venus e Serena al termine d’una carriera difficilmente ripetibile nella storia dello sport vogliono ridare a tanto papà una luce che il mondo gli aveva finora negato: il povero e umile uomo nero di Compton, periferia-ghetto di Los Angeles, che decide di fare di due delle sue figlie le migliori tenniste del mondo, e lo fa da prima che nascano. Scrive un piano di 85 pagine. E lo realizza. Basterebbe questo, ma no. I Williams non bastano a se stessi. Questione di decenza.

Poi Will Smith, la superstar che interpreta Richard con inquietante verosimiglianza va sul palco degli Oscar e schiaffeggia il comico che stava perculando la malattia di sua moglie. La perfetta chiusura d’un cerchio perfetto. Orgoglio e pregiudizio, redenzione, lieto fine, razzismo, ignoranza, violenza, sport. Come hanno fatto a tenersi una storia simile – peraltro così pubblica, quasi fluorescente – nel cassetto fino ad ora?

Il fatto è che il presupposto è una tale evidente americanata che si fa fatica a non metterla in conto agli sceneggiatori: sempre sdolcinati, gli americani. Un altro eroe, un’altra storia di redenzione. Che palle, anzi che palline. Sbagliare è un attimo. E invece è un film che ha nella sua classicità un contorno di perfezione.

Non è nemmeno la beatitudine dell’outsider che supera ogni ostacolo, fa ogni sacrificio, e alla fine garantisce alle figlie una vita in gloria. E’ la sua improbabilità a farne un piccolo pezzo d’arte: una realtà così favolistica da essere eccessiva anche per Hollywood. Will Smith ingrigito, curvo, stanco e addolorato è il contrappasso da Principe di Bel Air a Re Richard. Ma la confezione patinata è coerente con un copione scritto dalla vita, incredibile per definizione. Eppure innovativo perché di cose così non se ne fanno più.

Lo sport, il tennis, è il centro di tutto come al solito. Solo che stavolta è chiaro. Ed è – per follia di alcune dinamiche genitori-figli, ricchi-poveri – la superficie di gioco per vincere la partita postuma delle Williams: spaccare quel mondo pittato di bianco, dominato dall’opulenza dei circoli, e portarlo in strada. Battere tutti, in partita. E poi imporre la propria narrazione, dopo un paio di decenni passati a leggere di quel padre ignorante, egoista, inaccetato. Quello che Gianni Clerici chiamava un “Bertoldo nero”.

La scena in cui Rick Macci, il coach di Jennifer Capriati e poi di Andy Roddick e Maria Sharapova vola all’East Compton Hill Country Club per esaminare le due bambine è esplicativa. Quello scambio di battute tra lui e il papà

«Mi stai dicendo che hai in casa il prossimo Michael Jordan»

«Oh, no, fratello. Ho i prossimi due»

è così dannatamente hollywoodiano da essere vero. Che è poi la vera essenza del film: distruggere lo stupore dello spettatore, ricordandogli che quella favola è tutta reale. Realistica proprio no. La vita non è mai realistica.

Mentre Ash Barty si ritira a 25 anni, c’è da appuntarsi il romanticismo del sottotesto famigliare: le due sorelle che insieme hanno vinto un monte impressionate di Slam, assieme hanno vinto in doppio Wimbledon, insieme si sono giocate la finale sulla stessa erba che mai aveva visto due tenniste nere darsi battaglia, beh le due sorelle non si sono ancora ritirate. Per una persistenza di carattere che papà Richard ha trasmesso. Una radice. Venus adesso ha 41 anni, è 494esimo al mondo e non vince una partita dal primo turno dello scorso Wimbledon. Serena ha 40 anni. Fa la mamma ma dice che appena ha un attimo vuole battere il record di Slam di Margaret Smith Court, 24. Ora è numero 244 al mondo. I titoli di coda, ci siamo quasi. Poi stop, chiuso. Altro che Open.

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