Ha doti troppo importanti e troppo esplosive per non essere sfruttato a dovere. Contro l’Udinese il tecnico ci è arrivato con 45 minuti di ritardo
Come si disinnesca Osimhen (con una squadra di possesso)
Napoli-Udinese è stata prima persa e poi vinta da Luciano Spalletti. Certo, il calcio è fatto non solo di tattica e tecnica, ma anche di emozioni, di testa, di capacità di reagire alle e gestire le situazioni. Ma indovinare e/o costruire l’assetto giusto per una partita è un aspetto importante, se non basilare. Saper riconoscere i propri errori e cambiare registro, a maggior ragione, può cambiare i destini di una gara. E quindi, alla lunga, di un campionato. Nel caso di Napoli-Udinese, l’errore e le correzione di Spalletti riguardano la fase offensiva, il modo di muovere il pallone e di azionare i suoi attaccanti. Primo tra tutti, ovviamente, un devastante Victor Osimhen.
Ma partiamo dall’inizio, ovvero dalle scelte non proprio indovinate di Spalletti. Il tecnico toscano ha confermato il 4-3-3 di Verona, con un solo cambio di formazione: Insigne per Lozano. Di contro, Cioffi ha disegnato un sistema piuttosto fluido, una sorta di 3-5-2 che però si deformava costantemente, trasformandosi in un 4-4-2 in fase difensiva. Più che su un certo modulo, la squadra friulana ha mostrato di poggiarsi su principi di gioco chiari, riconoscibili, forse anche radicali: difesa con baricentro basso (posto a 38 metri dalla linea di porta) e reparti cortissimi (distanza complessiva tra i reparti pari a 24 metri), a coprire tutti gli spazi; ripartenze rapidissime condotte da Deulofeu, appoggiate costantemente da tutti i compagni di squadra; ricerca continua del contatto fisico, per far emergere e prevalere quella stessa esuberanza fisica che permetteva di serrare gli spazi difensivi e di correre subito a supportare le azioni di ribaltamento.
In alto, il Napoli imposta da dietro con il 4-3-3 classico, con il triangolo rovesciato composto da Lobotka pivote e Fabián-Anguissa mezzali; sopra, l’Udinese che copre tutti gli spazi centrali e che toglie profondità a Osimhem con tutti i giocatori sotto la linea della palla. Da notare le posizioni larghissime di Insigne e Politano: ora ne parleeremo.
Nel primo tempo, le scelte strategiche fatte da Spalletti attraverso l’utilizzo del 4-3-3 e di due esterni offensivi schierati entrambi larghissimi e a piede invertito hanno portato il Napoli a chiudersi in un imbuto. È come se la squadra azzurra si fosse consegnata tatticamente all’Udinese: possesso palla ragionato e quindi lento, necessità di ricercare costantemente l’ampiezza, laddove amano muoversi Insigne e Politano, e quindi incapacità/impossibilità di penetrare per vie centrali. Anche per merito dell’Udinese, che con la sua disposizione ha chiuso volutamente tutti gli spazi e ha tolto qualsiasi parvenza di profondità a Osimhen.
È così che, insieme, Spalletti e Cioffi hanno disinnescato Osimhen. Sono i dati a dimostrarlo: nel primo tempo, pur mantenendo un possesso palla bulgaro (dato grezzo del 66%), il Napoli ha concluso 7 volte verso la porta di Silvestri, di cui 3 nello specchio. Gli unici 2 tiri pericolosi sono arrivati al termine di due azioni nate sì sugli esterni, ma da altrettanti lanci lunghissimi in verticale: uno di Koulibaly verso Insigne dopo un calcio d’angolo dell’Udinese, uno di Mário Rui verso Anguissa, intelligente a muoversi da mezzala pura, a buttarsi dietro la difesa avversaria.
In tutte e due le circostanze, Silvestri è stato bravissimo e anche fortunato. Come se non bastassero questi dati, eccone qualche altro: sempre nei primi 45′, il Napoli ha tenuto un’ampiezza media di 43 metri; Insigne e Politano hanno giocato 42 e 31 palloni, rispettivamente, mentre Osimhen si è fermato a 12. Con zero conclusioni verso la porta avversaria.
In alto tutti i palloni giocati da Politano. Sopra, invece, tutti quelli giocati da Insigne.
L’Udinese ha fatto tutto ciò che doveva e che poteva fare. E in più ha trovato anche il gol, al culmine di un segmento di primo tempo in cui ha messo nettamente in difficoltà il Napoli. La squadra di Spalletti, in occasione della rete siglata da Deulofeu, ha mostrato evidenti limiti di intensità e reattività: è bastato un taglio di Beto alle spalle di Lobotka per mandare completamente in tilt il sistema di scalate e coperture preventive, e a quel punto a Makengo e Pereyra è bastato indovinare due passaggi semplici, uno in verticale e uno in orizzontale, per aprire lo spazio della conclusione a Deulofeu.
Il gol di Deulofeu
In quest’azione, si vede chiaramente dal video appena sopra, il vero problema è che il Napoli non aggredisce il possesso dell’Udinese. Perché la difesa alta è un principio/meccanismo che rende solo quando la squadra che la attua/pratica riesce a esercitare un pressing costante, non necessariamente ossessivo ma quantomeno percettibile. Il gol di Deulofeu si determina perché la squadra di Spalletti gioca una fase passiva statica, in cui solo Fabián Ruiz e Anguissa hanno provato a infastidire davvero il portatore di palla dell’Udinese; anzi, il centrocampista camerunese si fa superare fin troppo facilmente da un’imbucata non impossibile da leggere.
Un altro aspetto interessante riguarda la distribuzione spaziale delle azioni dell’Udinese. Secondo i dati rilevati da Whoscored, la squadra di Cioffi ha costruito il 46% delle sue manovre, praticamente una su due, utilizzando la fascia sinistra. Attaccando, quindi, il lato in cui Udogie e Makengo duellavano con Politano, Anguissa, Di Lorenzo. È evidente che il tecnico della squadra friulana abbia intuito che da quella parte, ieri, sarebbero nate le occasioni più ghiotte. La svagatezza di Anguissa, soprattutto nella prima frazione di gioco, ha accentuato questa sensazione di fragilità in quella zona di campo.
Tra fase difensiva e offensiva
È come se la fase offensiva senza grip avesse contagiato anche quella passiva, per il Napoli. E non è un caso, né tantomeno una cosa sorprendente: il calcio moderno è un gioco sequenziale, in cui l’efficacia della fase difensiva è strettamente legata alla pericolosità in avanti. La squadra di Spalletti, poi, esaspera al massimo questo concetto: da anni, ormai, il gruppo storico di calciatori che compone la rosa del Napoli ha dimostrato di sapersi esprimere al meglio solo quando sa cosa deve fare con il pallone. Quando ha dei meccanismi funzionali e funzionanti per risalire il campo. Contro l’Udinese, almeno nel primo tempo, tutto questo non c’era. Poi, però, nella ripresa le cose sono cambiate. Perché Spalletti ha capito gli errori commessi.
Undici secondi dall’inizio della ripresa, e il Napoli è già una squadra totalmete diversa
Bastano pochi istanti del secondo tempo – si vede dall’orologio che scandisce i tempi di gioco – per capire che il cambio Mertens-Fabián Ruiz ha portato il Napoli a disporsi con un 4-2-3-1 decisamente teso verso il 4-4-2 puro, con la coppia Anguissa-Lobotka davanti alla difesa. Ovviamente Mertens ha tenuto una posizione più varia e mutevole rispetto a quella di una prima o anche di una seconda punta classica, ma è stato proprio questo suo moto perpetuo a dare a Spalletti ciò che serviva per poter risolvere il rebus tattico di Cioffi. Vale a dire: una linea di passaggio verticale e, soprattutto, un supporto a Victor Osimhen. Che, grazie al belga, si è avvicinato ai suoi compagni e non ha dovuto vagare nel nulla seguito da due o anche tre difensori avversari.
Qualche dato, prima di entrare in dettagli più squisitamente tattici: con l’ingresso di Mertens e il cambio di modulo, il Napoli si è allungato (da 27 a 30 metri) e soprattutto ha perso ampiezza sul campo, da 36 a 30 metri; ha perso un po’ di possesso palla puro (la percentuale è scesa dal 66% al 61%), ma ha guadagnato enormemente in pericolosità offensiva. Basti pensare che i tiri complessivi sono stati 13 (contro i 5 dell’Udinese), di cui 5 nello specchio della porta di Silvestri. Osimhen ne ha scoccati 3: di questi, 2 hanno determinato il successo della squadra di Spalletti.
Una nuova idea di verticalità
In questo momento della stagione, è evidente che il Napoli faccia fatica a risalire il campo in maniera armonica, con il possesso palla insistito, portando molti giocatori nella trequarti avversaria. E allora bisogna andare in un’altra direzione: velocizzare e verticalizzare il gioco, andando così alla ricerca di Osimhen oppure di un calciatore che graviti intorno a lui e gli dia la possibilità di attaccare la profondità appena possibile. A Verona, per via delle caratteristiche della squadra di Tudor, era bastato appoggiare il pallone sul centravanti nigeriano. Contro l’Udinese, un avversario molto più attendista, è servito inserire un sottopunta in grado di garantire una verticalità diversa. Una soluzione per rendere più rapida la risalita dal campo.
Un gol estremamente tattico
Basta (ri)vedere il secondo gol di Osimhen per capire cosa intendiamo. In quest’azione, il Napoli costruisce da dietro esattamente come nel primo tempo, solo su direttrici diverse. Più dirette, Più veloci. E questo avviene perché Lobotka ha una linea di passaggio verso Mertens, che zampettando e ricevendo il pallone dietro il centrocampo dell’Udinese fa collassare tutto il castello difensivo della squadra di Cioffi. In questa particolare occasione, il Napoli “esagera”: dopo il primo appoggio in avanti, Mertens tocca ancora in verticale su Osimhen, intelligentissimo a offrirsi come pivot e ad aprire il gioco sulla destra. A quel punto, la posizione larghissima sulla fascia di Politano assume un senso, un’importanza strategica: chiama la sovrapposizione interna di Di Lorenzo, la sua percussione, il suo cross al centro per Osimhen. Che è accorso in area e ha battuto Silvestri con autorità.
Tutti i tocchi di Dries Mertens
Sopra ci sono tutti i palloni giocati da Dries Mertens nella ripresa. Sono 26, addirittura 10 in più rispetto a Osimhen. Questo vuol dire che il belga ha interpretato benissimo il ruolo di sottopunta, è stato molto presente nelle azioni del Napoli. Il suo contributo, dal punto di vista puramente geografico, si è concentrato soprattutto nel mezzo spazio di centrosinistra, ovvero dal lato in cui un destro naturale come lui può muoversi con maggiore libertà guardando la porta. È inevitabile, è una tendenza di tutti i calciatori, ma acquisisce senso quando si manifesta all’interno di un sistema funzionale. Il 4-2-3-1 verticale adoperato dal Napoli nel secondo tempo del match contro l’Udinese è stato un sistema funzionale. Perché ha permesso alla squadra di Spalletti di sfruttare le caratteristiche dei suoi uomini migliori. Osimhen, ovviamente. Ma anche questo Mertens.
Avevamo già parlato di Mertens come Supersub, ovvero come dodicesimo uomo di qualità in grado di cambiare l’architettura tattica del Napoli e di spostare l’inerzia delle partite, un bel po’ di tempo fa. Addirittura a inizio novembre 2021, dopo che il belga aveva inciso tantissimo su due gare della squadra di Spalletti – contro Torino e Legia Varsavia – entrando dalla panchina, determinando il passaggio a un 4-2-3-1 più offensivo, più verticale. Il fatto che contro l’Udinese sia andata allo stesso modo, più o meno, è una conferma importante in vista delle ultime gare di campionato: nel Napoli di Osimhen, nella squadra che gioca per Osimhen, anche Mertens può avere un ruolo importante.
Conclusioni
Il fatto che il Napoli sia diventato più offensivo e – inevitabilmente – più sbilanciato non ha inficiato il resto della ripresa dopo l’uno-due firmato da Osimhen. Come detto, la squadra di Spalletti ha perso un po’ di controllo nel e del possesso palla, ma questo non ha portato ad azioni pericolose firmate dall’Udinese: un solo tiro in porta nella ripresa, a opera del solito Deulofeu. La squadra di Cioffi è stata molto più pericolosa nel primo tempo, quando ha accelerato ancora dopo il vantaggio e ha sfiorato lo 0-2 con Pablo Marí su azione d’angolo. Proprio l’espulsione del difensore spagnolo, al minuto 82′, ha messo fine alla partita tattica. Il finale è stato dominato dal pathos, ma il Napoli ha rischiato pochissimo. Anzi, niente.
La vittoria contro l’Udinese e il modo con cui è arrivato questo risultato concludono il discorso iniziato una settimana fa a Verona. Il Napoli di Spalletti è ormai il Napoli di Osimhen, e lo stesso tecnico toscano deve in qualche modo rassegnarsi a questa evidenza. E, quindi, a tutte le conseguenze tattiche che ne derivano. Prima tra tutte, la necessità di inserire un secondo calciatore offensivo in grado di muoversi accanto al nigeriano. Che sia un esterno bravo a interpretare il ruolo di attaccante aggiunto, come Lozano, oppure un sottopunta con anima da punta. Come Mertens. È il modo migliore per accompagnare un calciatore che ha doti troppo grandi e troppo esplosive per non essere sfruttato a dovere.
Osimhem crea difficoltà anche da solo. Anche con un semplice passaggio verticale ben fatto.
In questa azione è bastato trovarlo tra le linee per creare un’occasione. Per mettere in crisi un’intera linea difensiva. Molto semplicemente: supportarlo in modo continuo, dargli la possibilità di essere seguito da meno difensori e quindi trovare più spazio, permetterà al Napoli di essere una squadra costantemente pericolosa. Non che Spalletti debba rinunciare per forza all’idea di gestire il pallone, di costruire dal basso e di risalire il campo con qualità e sofisticatezza. A un certo punto, però, il Napoli chiede altro perché Osimhen chiede altro.
A Bergamo, tra quindici giorni, dovrà andare diversamente vista l’assenza del nigeriano, ma il futuro prossimo e quello lontano di questa squadra passano dalla comprensione che siamo entrati in una nuova era: quella di Osimhen. Dimenticarsene ancora, oppure sottovalutare ancora la necessità del cambiamento, sarebbe un errore enorme, viste le prospettive e le opportunità offerte da questo campionato. Da questa classifica. Che difficilmente perdonerà ancora allenatori che devono perdere la partita, prima di vincerla davvero.