Serissimo sin da giovane, al Sannazaro. Non si dava mai arie. Era già un campioncino in erba, eppure veniva a giocare con noi. Senza snobismi
Erano i primi anni sessanta. Forse il 1962 o il 1963. Frequentavo il ginnasio presso il liceo Sannazaro. Che raggiungevo a piedi ogni mattina. Da via San Giacomo dei Capri a piazza Vanvitelli. Passando per i boulevard vomeresi. Non erano anni di baretti e di movida. Si tornava presto a casa. Al più un po’ di amici riuniti per un balletto in un appartamento. Senza mai andare oltre le dieci. Lo svago preferito per noi ragazzi una partita di calcio. Nel mio liceo studiava, credo tre anni davanti a me, anche Pino Wilson. Detto Pinotto. Futuro grande calciatore. Capitano della Lazio campione d’Italia, arrivato anche a giocare in Nazionale. Una vita dedicata al calcio la sua. Una passionaccia che lo aveva avvolto fin da ragazzino. Quando al sabato andava a letto presto perché la domenica doveva giocare con la squadra del Cirio. In serie D.
Serissimo Pinotto nel calcio come nella vita. A scuola come sul terreno di gioco. Non saltava mai un allenamento. Non tirava mai tardi la sera. Del football insomma aveva fatto la ragione della sua vita. Pur senza trascurare gli studi fino al conseguimento della laurea in giurisprudenza. La sua vita però si identificava con il calcio. E proprio la sua straordinaria forza di volontà, il suo irriducibile impegno, la sua grande serietà gli consentirono di raggiungere vette cui forse madre natura non lo aveva destinato. Per comprendere il suo carattere ed il suo amore per il “pallone” si pensi che qualche volta, lui già calciatore piuttosto noto a Napoli, con la prospettiva di una brillante carriera, veniva a giocare con noi compagni di scuola al mitico campo del Cardarelli. C’era anche Alfredo Fino, che allora giocava nel Chiaia e poi divenne magistrato. E Valerio Caprara, poi divenuto uno dei più importanti e lucidi studiosi e critici cinematografici italiani. Tutti, come Pinotto, amanti del “pallone”.
Pinotto, campioncino in erba con un grande futuro preconizzato da tutti gli esperti, me lo ricordo come ieri. Nei corridoi del liceo o sul campo del Cardarelli. Non si dava minimamente arie. Non si atteggiava con pose da campionino. Giocava insieme a noi altri, giocatori scalcagnati e pronti nei giorni successivi a vantarsi con amici e parenti di aver giocato con Wilson, impegnandosi come faceva la domenica in campionato. Senza snobismo. Senza mai far valere a priori la sua superiorità tecnica ed atletica. Veniva al campo con noi semplicemente perché gli piaceva giocare. Il pallone, insomma, lo aveva nel sangue. Quel ragazzo schivo, educatissimo e delicato nei modi c’è lo ho impresso nel cuore e nella mente. Ciao carissimo Pinotto.