L’opera di Troilo, prodotta da Azzolini: che cosa vuol dire vivere in una terra (anche i Campi Flegrei) che da un momento all’altro potrebbe esplodere

La sentenza la pronuncia la chiromante Luigia, col suo pendolino: tra quindici anni il Vesuvio erutterà. È una dei protagonisti del documentario “Vesuvio – Ovvero: Come Hanno Imparato a Vivere In Mezzo Ai Vulcani”, di Giovanni Troilo e prodotto da Davide Azzolini che con la sua Dazzle ha l’attitudine di essere sempre presente quando c’è da sparigliare le carte sulla narrazione di Napoli. Novanta minuti con una domanda di fondo: come si fa a vivere in una zona che è una bomba a orologeria? E l’idea è di raccontare la vita nella zona che va dalle falde del Vesuvio alla Solfatara. Un lavoro che ha diversi piani di lettura: scientifico, di denuncia, descrittivo. Documentario che avrà certamente il suo appeal all’estero e in questa chiave abbiamo inquadrato qualche cedimento all’oleografia con la scelta di personaggi pittoreschi come appunto Luigia o lo psicomago che vive alle pendici del vulcano. In questi giorni è nei cinema, poi sarà su Sky.
È un viaggio nella vita sul magma. Il Virgilio scelto da Troilo è il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo che, col suo inseparabile cane Zeus, non nasconde la propria indignazione per l’assoluta mancanza di consapevolezza e prevenzione. E dice chiaramente che l’area dei Campi Flegrei è decisamente più pericolosa: un’eruzione lì avrebbe ripercussioni vastissime. È da risate amare la scena in cui vengono riprese le prove per l’eventuale evacuazione nel Vesuviano. Una scampagnata indimenticabile che, caso mai qualcuno avesse nutrito dubbi, rese evidente come in caso di eruzione non ci sarebbe scampo. Addirittura fecero, nella vita reale, le prove con i figuranti. Come se fosse un film, appunto. Piano di evacuazione che riguarda anche i Campi Flegrei. Secondo le menti geniali che hanno ideato il piano, in caso di esplosione della Solfatara i cittadini dovrebbero raggiungere la Stazione Centrale (che è completamente dall’altro lato della città) e poi mettersi in treno per la Lombardia. In condizioni normali, da Pozzuoli alla Stazione Centrale occorre circa un’ora. E la nostra è un’ipotesi ottimistica. Figuriamoci nel bel mezzo di una tragedia che sarebbe epocale.
E probabilmente è stata proprio la potenziale tragedia alla base del documentario ad aver spinto il regista a cercare spicchi di vita che strappassero un sorriso. Dolce e simpatica è la figura del sarto Panico, il sarto di via Carducci, che veste clienti americani e giapponesi parlando sempre e solo con accento napoletano. E il cliente giapponese racconta che da Panico l’iter è fisso: anche se il vestito ti sta bene alla prima prova, comunque devi sottoporti a tre misurazioni, non c’è scampo. Ci sono i cavalli da trotto che si allenano a mare a Licola, c’è il Teatro San Carlo così come Villa Betania la clinica dove i bambini nascono di fronte al Vesuvio. È, in fondo, una vita approssimativa per geologia.