A Il Giornale: «Non mi sono mai arreso. Ma a 40 anni capisci che non hai più gli istinti omicidi dei 25. Con l’incidente in Austria mi chiesi: “Varrà la pena?”».
Su Il Giornale una lunga intervista a Valentino Rossi. Tre settimane fa gli è nata una bimba, tra una settimana inizierà la sua nuova vita da pilota d’auto.
«Rimanere a casa senza far niente sarebbe devastante dopo 26 anni a correre per il mondo. Sono due terzi della vita e se da lì, “pam”, tagli di colpo e non fai più niente, è tosta; invece io ho sempre lavorato per diventare un pilota di macchine. Ho lavorato per arrivarci una volta che avrei smesso. Perché le moto sono cose da giovani, devi essere in forma, devi avere coraggio… Invece le auto, ecco, adesso non vorrei dire una cosa che poi viene mal interpretata, le auto sono un po’ più abbordabili anche dalle persone di una certa età».
Racconta com’è stato convivere con l’idea di lasciare il motociclismo.
«È difficile da accettare. Io non mi sono arreso fino alla fine. Ma capisci che a quarant’anni non hai più quegli istinti omicidi di quando ne avevi venticinque. Però è stata dura. A un certo punto della mia carriera, una decina di anni fa, mi sono chiesto: smetto quando sono sulla cresta dell’onda e mi ritiro da campione del mondo, o corro fino a quando non ne posso più?».
Ha deciso per la seconda strada.
Gli chiedono quanto è stato pesante gestire il “personaggio Rossi” per un quarto di secolo.
«Mi è pesato soprattutto alle gare, perché a Tavullia sto bene. Faccio vita tranquilla. Ai Gp era invece diventata tosta. Non riuscivo più a lavorare. Migliaia di persone nel paddock. Foto, firme, tutto bello ma anche troppo. Alla sera ero esausto».
I suoi storici rivali sono stati Biaggi, Stoner e Lorenzo. Con tutti e tre, racconta, oggi ha buoni rapporti.
«Grande riavvicinamento con Casey, che mi manda spesso messaggi dall’Australia, mi chiede della bambina, ci siamo anche visti. E riavvicinamento pure con Lorenzo, ormai è un amico, è venuto alla 100 km del Ranch, alla sera eravamo a ballare assieme. E persino riavvicinamento con Max Biaggi. La rivalità con lui è stata forte. Ora ci salutiamo, parliamo reciprocamente bene l’uno dell’altro. È bello».
Crescendo ha capito il fastidio provato da Max vedendo un Rossi ragazzino arrivare a rubargli la scena.
«Sììììì, alla grande. Anche perché io non ero nessuno e lui era il numero uno in Italia e uno dei più forti al mondo e ho cominciato a rompergli le scatole. Ero una carogna. Ma adesso tutto è passato, ci siamo riavvicinati. È stata una bellissima rivalità sportiva».
Rivive l’incidente in Austria, nel 2020.
«Mi ha fatto pensare. Già lo sapevo, ma lì ho avuto la riprova che nelle corse non basta stare attenti, che se ti trovi nel momento sbagliato nel posto sbagliato sei fregato. Quello sì, è stato un momento tosto, anche se non mi ha fatto dire “smetto”. Anzi, in quelle settimane ho deciso di andare avanti un’altra stagione. Però è stato veramente un incidente pauroso. In sella ho avuto molta paura ma per la moto di Zarco, rimasta relativamente lontana. Ho sentito il rumore della sua moto che si smembrava. La televisione ha appiattito tutto, i rumori, la potenza con cui la moto arrivava, rimbalzando di fianco a Viñales. Io già lì ero terrorizzato ma la moto di Morbidelli, il vero pericolo per me, quella che mi ha sfiorato, non l’ho nemmeno vista. Ho sentito come un’ombra che mi attraversava ma la velocità con cui mi è passata a due dita era mostruosa. È lì che ti dici: “Varrà la pena?”. Sono rientrato ai box molto impaurito e lì ho visto i miei meccanici, ricordo in particolare uno di loro, Alex, che singhiozzava. Gli ho detto: “Dai, comunque ero a tre o quattro metri…”, e lui: “Ma l’altra moto l’hai vista passare?”, e io: “Quale altra?”. Sì, quel giorno mi sono giocato il jolly».
Gli chiedono di ricordare il primo e l’ultimo Gp.
«Era il 1996, eravamo in Malesia, faceva caldissimo e assieme a Paolo Tessari, che come me correva in 125, andavo in giro per il paddock a rompere le scatole ai piloti giapponesi. Avevo un debole per loro e andavo a molestarli da un box all’altro. Mi sentivo in un villaggio turistico. Dell’ultimo Gp, a Valencia, ricordo invece il momento in cui sono arrivato con la moto al box. Questa cosa del ritiro è stata difficile da gestire, perché ho ricevuto un sacco di pressioni da fuori, tutti volevano fare delle cose per me, che poi alla fine erano per loro… Io invece avevo già in mente solo il box e avere lì i miei amici e quelli che sono stati i miei compagni in tutti questi anni. Volevano fare i fuochi d’artificio, volevano farmi salire sul podio ma io lì ci salgo solo se finisco nei tre, volevano farmi fermare sul traguardo per darmi un qualche premio, ma ho tenuto duro, ho fatto come volevo io ed è stato indimenticabile».