ilNapolista

Tremate, arriva il Verona. Il mostro finale dell’epica napoletana della sconfitta

Ci inventiamo sempre un mostro finale, una sfida da fine del mondo. Come il Cagliari. L’ambiente a Napoli deve restare fedele al suo vivere quotidiano: incazzato.

Tremate, arriva il Verona. Il mostro finale dell’epica napoletana della sconfitta
foto Hermann

Non era tanto il Milan. È che domenica c’è il Verona. Che qualche avveduto analista ha già battezzato “arbitro” del campionato perché – la motivazione è a-scientifica e quindi meravigliosa – ancora gli restano da affrontare in campionato Napoli, Milan e Inter. Al di là dei tre punti e della aritmetica di base che i suddetti commentatori evidentemente non hanno imparato alle elementari, il Verona è “fatal” solo per noi. Come tale viene percepito, anche se l’incubo originale andrebbe storicamente tutto in capo al Milan, che al Bentegodi perse due scudetti già vinti (Rocco nel 1973 e Sacchi nel 1990). Il Verona a Napoli è un trauma fresco, che ancora da queste parti ci trasciniamo dall’anno scorso: metafora della solubilità mentale, del braccino strutturale di una squadra se non d’una città intera. Il calendario ce lo piazza davanti con un tempismo impeccabile. La trasferta a Verona è metricamente perfetta, per rimettere mano al nostro capolavoro: l’epica della sconfitta.

La sconfitta è una dolce attesa, una salvezza mentale. Se quella col Milan fa male perché strappa via le ambizioni, quella eventuale con la “squadretta”, la “piccola”, funziona da analgesico: sancisce l’impossibilità di pretendere l’impresa. “Non batti il Cagliari e vuoi vincere lo scudetto?”. Ed ecco pronto il Verona: se dovessimo squagliarci come facemmo la scorsa primavera potremo finalmente trovare la pace nella mediocrità.

È come se ci inventassimo sempre un mostro finale, una sfida da fine del mondo. Trasformiamo una partita qualunque in un duello vita o morte, purché la fine arrivi veloce. Ci inventiamo paradossi che ingigantiscono gli avversari, simuliamo un’asticella altissima. Se poi si vince si procede per traslazione, dopo un Cagliari c’è un Verona e poi uno Spezia su cui deflagrare lo troveremo, il campionato italiano è bello anche per questo: c’è sempre un fondo da scavare. Se invece perdiamo – oh, è il Verona di Simeone perdinci! – ecco la liberazione: “hai visto? Questi siamo”. Amen.

Persino la retorica da stadio ha declinato il concetto passando dall’insopportabile cantilena “vincere!” – imperativo categorico – al meno pretenzioso “al di là del risultato”. Ci siamo assuefatti all’inevitabile scontento. E se restiamo troppo lassù, in vetta, ci prende quasi male. Troppo stress.

Perché l’ambiente a Napoli deve restare fedele al suo vivere quotidiano: incazzato. Incazzato per non aver vinto un campionato a 91 punti, incazzato dopo aver battuto l’allora imbattibile Liverpool, incazzato dopo il secondo posto con Ancelotti, incazzato dopo la semifinale di Europa League con Benitez. Il tifoso del Napoli è corroso da un’ambizione irrisolvibile, montata per anni senza sfogo. E anzi, mortificata da ogni Verona che passa.

Il nostro Verona è ontologicamente “fatale”. Giocheranno in quindici, correranno allo spasmo, tutti altissimi, fortissimi, geometricamente piazzati in campo per rovinarci un’altra maledetta domenica. Loro nemmeno lo sanno, i poveretti.

ilnapolista © riproduzione riservata