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“Drive my car”, il film di Ryūsuke Hamaguchi con sceneggiatura tratta da Murakami

Fresco di vittoria Oscar, racconta dolori privati, mancanza di capacità di sofferenza e coraggio e disperazione in un mix di realtà e finzione 

“Drive my car”, il film di Ryūsuke Hamaguchi con sceneggiatura tratta da Murakami
Avevamo lasciato “Drive my car” – dopo che il film diretto da Ryūsuke Hamaguchi aveva vinto il Golden Globe come miglior film straniero e prima della vittoria all’Oscar di quest’anno per la stessa sezione – dopo 15 minuti circa. Poi un’amica ci ha fatto notare – ricordandocelo – che quel cappello introduttivo prima dei titoli iniziali non era presente nel racconto omonimo di Haruki Murakami (tratto dalla raccolta “Uomini senza donne”), da cui trae origine la sceneggiatura del film. Dopo la vittoria dell’Oscar abbiamo deciso di riprovarci e non ce ne siamo pentiti.
Yūsuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima) è un regista-attore di opere teatrali – è in scena in quei giorni con un “Aspettando Godot” con l’artificio del multilinguismo digitale – che ha una moglie Oto (Reika Kirishima) che scrive sceneggiature. Ritornando non atteso dopo un imprevisto da un viaggio di lavoro programmato Yūsuke scopre il tradimento di lei con un giovane attore Kōji Takatsuki (Masaki Okada). Poco dopo Oto muore per un aneurisma cerebrale dopo che al mattino aveva preannunciato al marito una rivelazione. Passano un paio d’anni e Yūsuke viene scritturato da una compagnia teatrale di Hiroshima per mettere in scena Zio Vanja di Cechov, fornendogli un’autista giovane Misaki Watari (Tôko Miura) che avrà il compito di guidare la sua Saab 900, macchina che il regista adora, per evitare che quest’ultimo incorra in incidenti che possano fermare la messa in atto del dramma. Per un caso del destino anche Takatsuki partecipa alle audizioni ed il regista gli affida – inopinatamente, per l’età dell’attore – la parte di Vanja. Il ragazzo non riesce a controllarsi socialmente e sessualmente e tra i due gli equivoci si moltiplicano. Intanto il rapporto tra il regista e l’autista cresce nel racconto comune delle proprie disperazioni, ed un accadimento giudiziario mette in forse l’esecuzione della rappresentazione.
I due protagonisti porteranno in scena – nella vita reale – i loro dolori privati e la loro mancanza di capacità di sofferenza e di coraggio, che li hanno condotti alla disperazione attuale: ma sballottati dalla realtà alla finzione scenica e viceversa, ritroveranno senso. “Dobbiamo vivere, ce la faremo: ne sono sicuro, staremo bene… “.
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