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Koulibaly sarebbe un grande capitano per il Napoli

L’opinione di Francesco Esposito. Di fatti è già il leader. È un simbolo della squadra, dell’azienda, perfino della città. E venderlo oggi non avrebbe più senso

Koulibaly sarebbe un grande capitano per il Napoli
Db Napoli 06/03/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Kalidou Koulibaly

Oggi, sulla Gazzetta dello Sport, si scrive che Kalidou Koulibaly sarebbe pronto a firmare a vita col Napoli. E che le intenzioni di De Laurentiis, a loro volta, combaciano con quelle del senegalese. Il presidente sarebbe orientato ad offrirgli un buon contratto, a riconoscergli una certa leadership. Ad assegnargli la fascia di capitano.

Di questi tempi, d’altronde, si fa così. Che piaccia o meno, la fascia è diventata oggetto di trattativa. Quasi un bonus. Ne abbiamo scritto pochi mesi fa, sul Napolista. Nel 2022 il capitano non è tale per investitura del gruppo squadra, quanto – piuttosto – per investimento d’immagine della società. Si scrisse dei cosiddetti capitani d’azienda. Il capitano non è più (non necessariamente) la persona, è il fuoriclasse. Non gli è richiesta calma e diplomazia, leadership né autorità. Basta essere il più bravo, il più appariscente. Un tempo però – continuava l’articolo – le due cose potevano più facilmente coincidere e gli esempi più lampanti erano Maradona e Platini. E anche se nel calcio moderno, tutto sommato, non serve, verrebbe da dire – senza scomodare mitologie ed evitando blasfemie –  che se Koulibaly firmasse questo rinnovo e diventasse davvero il capitano del Napoli, visto l’addio già programmato di Insigne, allora forse le cose, almeno da queste parti, tornerebbero, per un attimo, a coincidere.

A coincidere, sì. E questo perché Koulibaly sarebbe senz’altro un capitano «d’azienda». Koulibaly è un fuoriclasse, pure con una buona dose d’appariscenza nonostante l’austera posizione in campo. Ed è senza ombra di dubbio il calciatore più forte e più autorevole del Napoli, quantomeno per ora. Anzi, di più: Kouli è probabilmente l’unico giocatore della nostra Serie A che sarebbe inserito in un’ipotetica top 11 europea. Che giocherebbe titolare, ad occhio e croce, in tutte le squadre del mondo. Pensateci: in Italia non ce ne sono altri. Non finisce qui. Koulibaly è un volto spendibile dalla società, spendibile in tutti i sensi: perché riconosciuto unanimemente a livello internazionale; perché già capitano (il primo capitano vincente, peraltro) della sua Nazionale; e pure perché impegnato in una serie di battaglie culturali e di civiltà, battaglie che gli fanno onore visto che è un volto forte – almeno in Italia – della campagna contro il razzismo negli stadi, razzismo che combatte manco fosse un leader politico. E poi, ancora, perché questa azienda – il Napoli di De Laurentiis – in qualche modo Koulibaly la rappresenta, può rappresentarla. È, come fu Hamsik e forse perfino di più, un calciatore simbolo della strada che la società prova a percorrere da anni: è arrivato, giovanissimo, da un campionato minore ma a Napoli è cresciuto e a Napoli s’è imposto al grande calcio, attirando su di sé le sirene dei più grandi club europei. In qualche modo, Koulibaly è la dimostrazione plastica che la strada aziendale di De Laurentiis è una strada che si può fare.

Dicevamo: le due cose possono tornare a coincidere. E possono coincidere perché ben al di là dell’azienda Koulibaly è già, di fatti, il capitano della squadra. La sua leadership, la sua calma, la sua autorità nello spogliatoio è già fortemente riconosciuta. Basti pensare che finché c’è stato (e finché ancora c’è) Insigne, Spalletti ha dovuto trovargli un altro nome, un altro appellativo, per dire però sostanzialmente la stessa cosa. Spalletti dice che c’è il capitano (Insigne) ma ha quasi un bisogno fisico di dire che «c’è anche il comandante». Poi dice che «se si stacca un pezzetto di Koulibaly per tutti diventa più facile». E poi dice pure che per Koulibaly s’incatenerebbe, che lo vorrebbe sempre con lui, «come calciatore e come uomo». È un’investitura continua, di cui il senegalese si nutre e si nutre con gusto. Ne fa una scorpacciata. L’intervista a Kiss Kiss Napoli di oggi – al di là del facile populismo – lo racconta: lui sente di rappresentare qualcosa, sente di portare sulle spalle una responsabilità. E più che a parole lo dimostra coi fatti. In otto anni a Napoli non si ricorda una polemica con la società e col presidente. Anche quando avrebbe potuto e forse dovuto essere ceduto. Sarebbe stato legittimo che lui stesso lo desiderasse e sarebbe stata legittima perfino qualche parolina, come ne dissero, indimenticati, Higuain, Cavani e Lavezzi. Lui no, mai. Mai una parola. E lo stesso vale per gli allenatori: Kappa Kappa ha lavorato con Benitez (che l’ha scoperto, Dio lo abbia in gloria), con Sarri, con Ancelotti, con Gattuso e con Spalletti e si fa fatica, almeno a memoria, a risalire a un malinteso, ad una discussione che fosse una. Gli allenatori lo hanno amato, ne hanno lodato e tuttora ne lodano i valori umani prima ancora che sportivi e lui ha rispettato a sua volta tutti i suoi allenatori, cercando di crescere un pochino grazie a ognuno di loro, con una voglia matta di migliorarsi. È una cosa apprezzabile, che non è scontata.

E poi c’è il rapporto meraviglioso con la città, con Napoli. Che è sempre difficile descrivere senza scadere nel miele, senza fiumi di retorica. Sta di fatto che sentirgli definire Napoli, proprio poche ore fa, come “la sua città“, ascoltarlo mentre dice “che vuole portarsi un pezzo di Napoli al Mondiale, col Senegal” e poi, ancora, sentirlo scherzare sul fatto che anche in patria lo chiamano “il napoletano”, beh, qualche emozione finisce col provocarla. Sarebbe proprio impossibile il contrario.

Insomma, oramai sembra quasi lapalissiano riconoscere che Kalidou Koulibaly sarebbe un grandissimo capitano del Napoli. Dentro e fuori dal campo. Venderlo, s’accennava prima, sarebbe stato giusto qualche anno fa: quelle offerte non si rifiutano, con certe cifre ricostruisci una squadra. Adesso però si tratta di un difensore di quasi trentun anni e cifre blu, di questi tempi, non le porterebbe nessuno. A questo punto venderlo non converrebbe neanche all’azienda, visto che sostituire uno del suo valore, umano e sportivo, sarebbe proprio complicato per un club come il nostro. Koulibaly ha detto – ancora oggi – che a Napoli gli piacerebbe essere ricordato per l’uomo che è stato, più che per il calciatore. L’impressione è che Napoli, però, più che di ricordarlo, avrebbe tutta la voglia di goderselo ancora un pò, con la consapevolezza che l’uomo proprio non ha prezzo. E anche che tutti gli interessi, almeno per una volta, possono davvero coincidere.

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