A Venezia il film ha ricevuto il premio come migliore sceneggiatura non originale. Sarebbero stati da premiare anche la fotografia e le musiche
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Ci siamo approcciati a “La figlia oscura”, opera prima nel lungometraggio di Maggie Gyllenhaal – tratto dal libro omonimo dell’ectoplasma narrativo partenopeo Elena Ferrante, pubblicato dall’ottima editrice e/o – con genuina curiosità. E non solo perché la Gyllenhaal è stata premiata al Lido con la migliore sceneggiatura non originale del film, ma anche e soprattutto per capire come avrebbe strutturato sul grande schermo una storia fortemente introspettiva come quella della Ferrante.
Un’isola greca accoglie la professoressa universitaria di letteratura comparata a Cambridge (Boston) Leda Caruso (Olivia Colman), un’apparente tranquilla docente di mezza età, che cerca riposo mentre continua a lavorare ad una traduzione di “Del Paradiso”. Ma i suoi continui capogiri – epilessia?, circolazione? – nascondono un vissuto materno che risale al rapporto nella crescita delle due figlie Bianca e Marhta, ora ventenni. Leda ora rivede sul bagnasciuga nella giovane Nina (Dakota Johnson) e nel suo rapporto con la figlioletta Elena le contraddizioni della sua prima giovinezza, anche nel suo tradimento del marito Toni (Oliver Jackson-Cohen) con il bagnino Will (Paul Mescal). Anche la giovane Leda (Jessie Buckley) aveva tradito il marito con il prof. Hardy (Peter Sarsgaard) – auspici Auden e Yeats -, poi ritornando sui suoi passi per il bene delle bambine. Nina vorrebbe essere come Leda, ma non sa che nel momento in cui la prof. ha ritrovato Elena – la bambina che si era allontanata in spiaggia – le ha sottratto anche la sua bambola, Mina, che le ricorda il suo rapporto malato con le figlie, ma in realtà il suo rapporto negatico con la sua di madre, che ha reiterato con le figlie. In fondo la vera figlia perduta è Leda stessa.
Il film è fatto realmente bene, ma noi più che la sceneggiatura – troppo limitata dalla scrittura della Ferrante -, ne avremmo premiato la fotografia (Hélène Louvart) e le musiche (Dickon Hinchliffe).
Vincenzo Aiello ilnapolista © riproduzione riservata