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La playstation s’è mangiata il calcio: le partite annoiano, Fifa no

Non è più il videogioco che prova ad imitare il calcio, è il contrario. E anche i giocatori non ne possono più. L’estetica virtuale è l’unica bellezza possibile

La playstation s’è mangiata il calcio: le partite annoiano, Fifa no

La cosa brutta, frustrante, di un gol in due passaggi verticali è che gli manca l’ebbrezza della combo di pulsanti: x-0-L2-R1, tipo. Lo spettatore del 2022 ha l’istinto tattile, le mani a forma di gamepad, col pollice pluri-opponibile. E dal calcio, quello vero ancorché mediato da millemila telecamere, vuole quel livello di precisione. Il rasoterra direzionato, la triangolazione millimetrica, quattordici sponde e tiro. Un solo momento di stallo, un fallo laterale di troppo e si stacca, spegne, se ne va. Anzi torna alla sua realtà parallela: la playstation. Chi ancora s’affligge sull’eterno diabetico dibattito giochisti-risultatisti passi oltre e faccia un salto nel presente: non è più il videogioco che prova ad imitare il calcio, è il contrario. L’estetica di Fifa è diventata mainstream, ora è il calcio che deve uniformarsi a quello standard un po’ schizzato se vuole sopravvivere almeno nella sua commercializzazione.

C’è arrivato persino Agnelli: sono un paio d’anni buoni che il mantra dello sport in formato highlights ci viene ribadito come unico format di possibile riferimento. “I giovani” altrimenti s’annoiano. Pur vituperandolo ci siamo arrivati, al pallone ADHD, funzionale ad una generazione – forse un paio – col deficit dell’attenzione.

Gli stessi giocatori ne subiscono il fascino e la pressione. Persino chi c’è dentro fino al collo. Lo ha detto Aymeric Laporte, uomo di Guardiola e difensore del Guardiolismo, al Guardian:

La gente pensa che i calciatori dovrebbero essere come su Fifa, il gioco: che il passaggio vada lì da solo, che i giocatori e la palla si muovano così, che abbiamo tempo per pensare. Finché non sei stato là fuori, non ti rendi conto di quanto sia veloce.

Se ne lamenta lui che col City produce la versione umana più vicina a quella rarefatta replica digitale. Figurarsi gli altri. Lo spettro delle macroaspettative s’abbatte anche sull’ultima provinciale del più provinciale campionato europeo: le vediamo ogni domenica le povere difese lanciarsi in apocalittiche costruzioni dal basso che puntualmente mandano in porta gli avversari. La Macedonia del Nord, che pure ci ha eliminato dal Mondiale, aveva regalato a Berardi un gol con lo stesso masochismo. Solo che l’Italia non si fa battere al contest dell’autoafflizione, e quello l’aveva educatamente sbagliato.

Si badi che davanti alla tv, martedì sera, non ce n’era uno dei tanto invocati “giovani” cui il calcio pretenderebbe di vendersi. Erano altrove a fare le cose che fanno quando noi ci illudiamo ci diano retta: giocavano a Fifa. Ma di più: sono gli stessi calciatori professionisti che – in quanto pur sempre “giovani” – passano ritiri e pomeriggi a sfidarsi davanti ad uno schermo. “Si usano”, nell’autoreferenzialità che il gioco gli consente. Alcuni lo contrabbandano come “allenamento sensoriale”, altri dicono che semplicemente ne escono mezzo scemuniti, e comunque con parecchie ore di sonno arretrato.

L’industria del gaming – quella sì una vera industria miliardaria – è la vera antagonista del calcio. Ha contribuito ad alterarne la percezione, fino a modificare il gusto del tifoso, per definizione monomaniaco. Non solo una moda, proprio un’evoluzione caratteristica. “La gente vuole sempre di più”, dice Laporte. Ha alzato l’asticella, perché se lo standard sono i quarti d’ora di partita condensata dalle console, allora tutto il resto diventa lento per contrapposizione.

Lo spettatore che una volta guardava il calcio dal vivo e poi in tv sognava di plagiarlo per quanto possibile nei cortili, o al campetto. I bambini avevano dei miti da copiare. Ora sono assuefatti a pilotarli come marionette, svilendo la realtà. Il calcio non è più un’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (per dirla alla Walter Benjamin), sta soccombendo piuttosto alla sua stessa riproduzione. Il mercato va già altrove, a chi sa premere un solo pulsante alla volta sono rimasti i mercatini delle pulci. Ora li chiamano “vintage”.

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