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Quando Meret era un portiere disumano. Tre anni dopo, è un’incognita

Tre stagioni e due bocciature hanno minato le certezze del portiere che era considerato in concorrenza con Donnarumma. Puntare su di lui è una scommessa

Quando Meret era un portiere disumano. Tre anni dopo, è un’incognita
Db Barcellona (Spagna) 17/02/2022 - Europa League / Barcellona-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Alex Meret

23 ottobre 2019. Ovviamente la data – così, da sola – non dice proprio nulla a nessuno. È naturale che sia così. Possiamo intervenire per rinfrescare la memoria: si giocava a Salisburgo e il Napoli doveva conquistarsi un pezzo importante dell’accesso agli ottavi di finale di Champions League. Una roba che da queste parti non si vede proprio da quei tempi lì. Gli azzurri fecero 12 punti nel girone, non persero una partita. Neanche ad Anfield.

Ebbene, la partita col Salisburgo che si ricordano sicuramente tutti è quella di ritorno, al fu San Paolo. Non per il campo, eh. Ma perché fu la notte maledetta, quella dell’ammutinamento. Per settimane, dopo quella sera, girò sui social network un video, che testimoniava che Meret nel post partita non aveva dato il cinque a Insigne. Non s’è mai capito perché ma chiaramente vennero fatti ricami su ricami. Qualcuno arrivò a dire che il portierino azzurro non condivideva la scelta del gruppo degli ammutinati. Meret divenne, forse insieme a Lozano, il simbolo del nuovo corso. Forse faceva simpatia pure per questo, non solo per le qualità tecniche (innegabili) e per quella faccia da bravo ragazzo a cui proprio non si può voler male.

Ma torniamo al campo, alla partita d’andata. Una partita che il Napoli giocò con una difesa in assoluta emergenza. Che concluse con Luperto e Hysaj come coppia centrale. E che alla fine vinse, tre a due. Di quel match si ricordano tante cose, che sono incastonate nella memoria: l’immagine più inflazionata è quella dell’abbraccio tra Insigne (che era entrato da pochi minuti) ed Ancelotti, con il gruppo a festeggiare intorno al tecnico di Reggiolo. Il tecnico la scelse quando salutò la squadra, poche settimane dopo. Ma resta pure l’immagine di Mertens, che quella sera prima raggiunse e poi superò Maradona nella classifica all-time dei marcatori del Napoli. Forse fu la prima volta che sfoderò l’esultanza dedicata a Tommaso, il magazziniere.

Quello che viene ricordato decisamente meno è che su quella partita di Champions (e su quel girone, eccezionale, giocato dagli azzurri) ci sono proprio le manone di Alex Meret. Il friuliano sfoderò parate straordinarie. Una, su un giovanissimo Haaland ai primi fuochi d’artificio, assolutamente fuori dal comune. Tanto che il telecronista di Sky, Compagnoni, impazzì. Definì Meret «disumano».

Dove sia finito, quel portiere «disumano», è senza ombra di dubbio la domanda da un milione di dollari. Di Meret colpiva – oltre all’indiscutibile tecnica – proprio la personalità. Che oggi tanti contestano. Giocò quelle partite di Champions – le prime e le ultime della sua carriera, perché l’anno precedente era infortunato – con una nonchalance da veterano. Come se stesse giocando al calcetto del martedì. Mise pezze da tutte le parti. A Salah, al San Paolo, negò un gol fatto. Trasmetteva una grande, grandissima sicurezza. Qualcuno, in maniera a questo punto avventata, iniziò a pensare che fosse addirittura meglio di Gigio Donnarumma, che fosse il portiere italiano del futuro. E non senza alcun appiglio visto che il friulano era stato il titolare indiscusso di tutte le selezioni giovanili. Poi quando hai davanti uno come Donnarumma chiaramente diventa difficile. E chissà che non abbia influito.

Oggi di quel Meret, a tre anni di distanza, quasi non c’è più traccia. In mezzo ha vinto qualcosa. Una Coppa Italia da protagonista, un Europeo senza giocare mai. Sì, perché la Coppa Italia nell’Olimpico ammutolito dalla prima fase dell’emergenza pandemica la vinse da protagonista. Non doveva manco giocarla, quella finale. Ospina gli aveva – già agli arbori della gestione Gattuso – soffiato la maglia da titolare. Il colombiano però fu squalificato. E sembrò un altro segno che fosse lui, Meret, l’uomo del destino. Parò il rigore a Dybala e per tutta l’estate insistette il refrain che poi è continuato l’estate scorsa dopo un altra stagione in panchina: «l’anno prossimo la società punta su di lui, è lui il titolare». Poi, con Spalletti, che di calciatori a Napoli pure ne ha resuscitati diversi, è successo esattamente quello che era successo con Gattuso: al primo infortunio del forte ma fragile portiere ex Spal Ospina gli ha preso il posto. E dalla porta il colombiano non è uscito più. I ben informati parlano di esperienza, di una personalità diversa nel comandare la difesa. Sta di fatto che l’esperienza s’allena giocando, non guardando gli altri dalla panchina. E che se c’è un calciatore che Spalletti non è riuscito a restituire alla vita è proprio Alex Meret.

Ieri Meret ha detto che la sua intenzione è restare al Napoli. Che non pensa alla cessione. E gira insistentemente la voce che il Napoli stesso voglia rinnovare il suo contratto e non quello di Ospina. D’altronde Meret è notoriamente “il preferito della società”. A noi sotto un certo punto di vista fa piacere. Siamo sempre stati dalla sua parte, lo siamo ancora. Però è innegabile che due bocciature consecutive abbiano avuto un peso. In tre anni Meret è passato dall’essere considerato un predestinato a a fare il panchinaro di un buon portiere colombiano ultratrentenne. Un buon portiere, lo ripetiamo, decisamente non un fuoriclasse. Panchine che ne hanno minato le certezze. Panchine che spesso sono cominciate proprio dai guai fisici che lo perseguitano da anni, e non è un fattore di secondo piano.

Puntare solo su di lui oggi è più una scommessa che una certezza.

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