Al Napoli manca sempre l’ultimo miglio. Ma per l’ultimo miglio serve che De Laurentiis riveda la struttura, supporti il progetto tecnico con una war-room
Non c’è nulla di più scontato di quel che sta avvenendo a Napoli città in queste ore. E lo scriviamo senza mai dimenticare che il mood di Napoli città gode di un abnorme sovradimensionamento mediatico. Il Napoli non è Napoli. Lo tenga ben presente l’illuminato imprenditore che – sempre troppo tardi – darà vita a una seconda squadra che avrà nello statuto il rifiuto del folklore e degli stereotipi. Ma ne riparleremo.
A inizio stagione, nessuno – nessuno – avrebbe scommesso un euro sul Napoli in lotta per lo scudetto. La stagione cominciò con la disaffezione dovuta a “La guerra dei mondi” di Orson Welles traslata su Napoli-Verona: presunte congiure, complotti, tradimenti, ripicche, false notizie. Roba da telenovela di serie C, che quindi ebbe molta presa a Napoli città. Persino l’obiettivo della qualificazione in Champions, annunciato da Spalletti, venne accolto con disincanto. Anche perché venivamo da due stagioni consecutive in cui la Champions l’avevamo vista solo in tv. Grazie all’allenatore che oggi qualcuno vorrebbe riabilitare in nome dello sconfittismo che da sempre regna sovrano nella nostra tifoseria. Preferiamo non usare aggettivi.
Ci limitiamo a due brevi osservazioni. La prima: nemmeno la O di Histoire d’O, leader incontrastata del sado-masochismo, arriverebbe a rimpiangere il precedente allenatore. La seconda: la storiella della comparazione dei punti è perfetta per chi mai ha frequentato lo sport; non a caso i tifosi del Napoli sui 91 punti hanno costruito una vera e propria mistica. Nello sport ogni competizione fa storia a sé. Nel tennis si vince anche facendo meno punti dell’avversario, si possono conquistare mondiali di sci e automobilismo vincendo meno gare degli avversari e persino senza vincerne una. Jacobs ha vinto l’oro olimpico dei 100 metri in 9″ e 80. A Londra 2012 con questo tempo sarebbe arrivato quarto. E allora? Seguendo questo ragionamento – la comparazione dei punti – il Torino 76-77 (che arrivò secondo a 50 punti) era nettamente più forte del Napoli di Maradona che vinse a quota 42. Ci fermiamo qui, abbiamo dedicato fin troppe righe a questo non tema cui siamo stati costretti dal basso livello di competenza calcistica.
Passiamo a Spalletti. Qualsiasi ragionamento non può prescindere da un dato: il raggiungimento dell’obiettivo stagionale. Unico obiettivo stagionale. Il Napoli torna in Champions tre anni dopo. È talmente evidente che ieri ne ha parlato persino Mourinho. Ha ragione la Gazzetta quando scrive che il problema di Spalletti è stato di portare il Napoli oltre le proprie possibilità e aver riaperto quel cassetto dei sogni che nei due anni precedenti era finito in cantina. Tant’è vero che allo stadio non ci andava nessuno. L’ex San Paolo (ma il doppio nome no?) si è riempito giusto perché si è sentita aria di festa. Per il resto è stata la solita desolazione.
La domanda successiva è: ma allora non è criticabile Spalletti? È criticabile, certo. Anche se dipende dai punti di osservazione. Per noi del Napolista, come scritto da Raniero Virgilio, Spalletti è stato deludente perché da lui ci saremmo aspettati un comportamento simile alla sua fama. Lo abbiamo trovato fin troppo accomodante nei confronti degli anziani del gruppo. Lo avevamo immaginato a spada sguainata, ce lo siamo ritrovato democristiano. Anche qui, però, non abbiamo gli elementi per giudicare. Si fa la rivoluzione se hai le spalle coperte. Se ti senti coperto dalla società. Se sai che quello spogliatoio ha fatto fuori un signore che ha vinto ovunque e sta dominando la Liga col Real Madrid, qualche conticino te lo fai. A noi non sono certo sfuggite, alla prima giornata di campionato, le parole di Koulibaly: «Spalletti è stato bravo perché ha proseguito il lavoro di Gattuso». Ci fu tutto fin troppo chiaro.
E qui veniamo alla società. L’impressione è che De Laurentiis ripeta sempre lo stesso giochino. Lancia il progetto poi, quando si avvertono le prime difficoltà, smette i panni del co-responsabile e veste i panni del giudice terzo. È stato così con tutti gli allenatori. Di volta in volta buttati a mare (per alcuni è poi arrivato il soccorso di yacht di lusso) per poi ripartire con lo stesso canovaccio ma con interpreti diversi. Fino alle prime difficoltà e così via. Sarebbe così anche in caso di addio anticipato a Spalletti. Del resto, a parte la rivalsa giudiziaria (che sportivamente conta zero), di fatto De Laurentiis ha incassato l’ammutinamento e si è piegato a quei calciatori. Continua a non esserci una struttura, una war-room che sostenga il progetto tecnico, magari arricchita da specialisti della gestione della pressione. Anche così si cresce.
Sappiamo troppo poco per giudicare. Ma sappiamo che i campionati non si vincono solo sul campo. Lo scudetto è la risultante di più variabili. Quel che sappiamo, di certo, è che il Napoli ha avuto e ha un serio problema di preparazione atletica e di infortuni muscolari. Non ci dispiacerebbe un approfondimento di questa lacuna che a nostro avviso ha inciso non poco sui risultati del Napoli. Anche se Spalletti ieri lo ha negato e ha dichiarato di essere rimasto deluso da chi è entrato in campo nella ripresa.
Il futuro del Napoli passa da una approfondita analisi della stagione e dei momenti chiave. Altrimenti sarà stato tutto inutile. Altrimenti i limiti si riproporranno l’anno prossimo con le stesse modalità. Non ci siamo innamorati di Spalletti ma non possiamo negare che ha fatto bene. Così come non possiamo negare che ci ha commosso il suo rifiuto degli alibi e la sua etica del lavoro. È un allenatore che merita stima. E gli riconosciamo che è stato merito suo se il Napoli è stato a lungo a lottare per lo scudetto. Suo. Gli altri erano nascosti, tifosi compresi. È stato lui, tra l’altro, a rivalutare calciatori che grazie alla passata gestione erano considerati oggetti misteriosi. Su tutti Lobotka, ma non solo.
Allo stesso tempo non possiamo non notare che la curva di passione del presidente per i suoi tecnici segue sempre lo stesso andamento. Se non cambia quel grafico, non cambierà mai nulla. Fermo restando che il livello raggiunto è alto. Ma è il livello che il Napoli ha raggiunto da anni. L’ultimo miglio è quello più difficile da percorrere. Come diceva Einstein: «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose». Il sospetto è che Einstein fosse tifoso del Napoli.