A La Repubblica: «Mai avuto dubbi sul suicidio. Sennò chi sarebbe stato, la Cia? Era uno straccio, in quei giorni, pieno di barbiturici e alcol, non reggeva l’emozione».
Su La Repubblica un’intervista a Ornella Vanoni. Il 24 aprile, al Casinò di Sanremo, riceverà il primo Premio speciale
del Club Tenco. Parla del cantautore morto durante il Festival di Sanremo del 1967: in gara c’era anche lei.
«Lo conobbi tramite Paoli, suonò per me il sax in Se qualcuno ti dirà, il lato B di Senza fine. Bellissimo, certo, e un gran talento, ma aveva sempre uno spirito soccombente, non pensava mai che ce l’avrebbe fatta, tanto quanto Gino era solare».
Su quel Sanremo:
«Dica pure che si uccise. Mai avuto dubbi sul suicidio. Sennò chi sarebbe stato, la Cia? Era uno straccio, in quei giorni. Gli dissi che doveva aprire gli occhi quando cantava, ma sembrava un gufo: era pieno di barbiturici e alcol, non reggeva l’emozione, credo che la Rai gli avesse tagliato un po’ il testo di Ciao amore ciao e che l’amore per Dalida in quel momento lo turbasse, era tutto troppo per lui».
Parla di quelli che definisce “incontri magnifici”, anche con personaggi al di fuori del mondo della musica, come Pratt e Versace.
«Hugo Pratt, una persona magica da ascoltare, stavi ore coi suoi racconti di viaggio. Corto Maltese era lui. E poi Gianni Versace, che ho conosciuto agli esordi: per due anni ho indossato i suoi abiti di metallo. Non le sto a dire: d’estate schiattavo di caldo, d’inverno congelavo, ma erano magnifici».
Sulla guerra, che ha vissuto da bambina:
«Quando in tv sento le sirene dell’Ucraina penso a quelle che suonavano a Varese, dove ero sfollata. Allora dovevamo uscire di casa vestiti alla bell’e meglio e stare nei prati, con papà che mi proteggeva col corpo. E poi l’insegnante di matematica a cui dissi “a domani” e lei “penso di no, sono ebrea”. Terribile».