Intervista a Il Fatto: «Sono nato a Pianura, i primi morti ammazzati li ho visti a 10 anni. Sono stato salvato dalla mia maestra delle elementari».

Il Fatto Quotidiano intervista Fortunato Cerlino, uno dei principali protagonisti di Gomorra. Interpretava Pietro Savastano.
«Sono nato a Pianura, Napoli: i primi morti ammazzati li ho visti a dieci anni, non sono quelli a spaventarmi».
Don Pietro le manca?
«Mi manca la comunione con il pubblico che mi ha regalato. Ma ho fatto personaggi più complessi: l’Agamennone tradotto da Pasolini, il Creonte di Medea, dei viaggi stupendi».
Le ha cambiato la vita però.
«Il successo mi è arrivato che ero già grande, non mi sono fatto travolgere, semmai sono cambiati gli altri. Un giorno al supermercato passo un barattolo a una signora, mi guarda e si mette paura: “Maronna, don Pietro!”. Stessa cosa in posta: “Ma le bollette le paga lei?”».
La serie Gomorra è stata al centro del dibattito per anni, accusata di apologia della criminalità. Cerlino commenta:
«Il dibattito è arrivato in Italia un po’ tardi, in America se ne parla dal Padrino. Ha ragione Saviano, l’artista sta in una stanza buia con un cadavere a terra e accende la luce: lo accusano di omicidio, ma ha solo schiacciato l’interruttore. La narrazione deve godere di massima libertà, il rischio della speculazione commerciale c’è, però Gomorra ha preso un’altra direzione: la claustrofobia di un universo a perdere. Comunque, sono osservazioni che accetto da critici e intellettuali, non dalla politica. Se il pubblico non è pronto, è colpa degli attori sociali che mancano: altro che accusare Gomorra, aprite i parchi, fate cultura, perché il rischio di emulazione è più forte in chi non ha strumenti. Ma sa quanta gente che avevo attorno è finita ammazzata o in galera? Io sono stato salvato dalla mia maestra delle elementari».