A L’Equipe: «Maldini è ultra-presente. Pioli? Vuole che ci parliamo in italiano nelle partite in modo che tutti si capiscano»

L’Equipe intervista l’attaccante del Milan, Olivier Giroud. Parla del suo rapporto con l’Italia.
«Avevo 20 anni, mi ero fatto crescere i capelli lunghi, volevo essere come Cannavaro o Nesta. Mio fratello mi regalò la maglia azzurra, quella aderente della Kappa con quel meraviglioso azzurro. Inoltre, dato che la Francia non c’era, ho sostenuto l’Italia ai Mondiali del 1994 e ho pianto quando Roberto Baggio ha sbagliato il rigore in finale. Tuttavia, nella finale del 2006, ero al 100% per Les Bleus!».
Il suo sogno era «giocare in Inghilterra», ma se avesse dovuto scegliere di andare in Italia avrebbe scelto il Milan: «Shevchenko era il mio attaccante preferito».
Ha rischiato di andare all’Inter.
«Ero vicino a firmare per l’Inter… ma Dio ha fatto bene: ho dovuto aspettare un po’, essere paziente e nel frattempo ho vinto la Champions League. Conoscevo la Premier League, anche se è il campionato più difficile, da 15 anni. Quando ho parlato con il mio agente, non mi vedevo in Spagna o in Germania e un ritorno in Francia non era la mia priorità. Quindi Milano è stata la ciliegina sulla torta».
Su Maldini:
«È un manager ultra-presente, è lì ogni giorno agli allenamenti, questo significa che l’allenatore sta facendo il suo lavoro, ma anche la direzione è lì a guardare. Questa è un’istituzione, nulla è lasciato al caso. Infatti, un giocatore non può dire che non gioca perché non piace all’allenatore. Se è bravo in allenamento e competitivo, l’allenatore lo vede. E per me questa è una grande cosa, perché mi alleno come gioco, al 100%».
Appena arrivato ha iniziato subito a parlare in italiano.
«Dal primo giorno ho parlato italiano. Il mister vuole che ci parliamo in italiano nelle partite in modo che tutti si capiscano».
Su Pioli:
«Non lo conoscevo molto bene, ma dalla nostra prima telefonata ho capito che avrebbe funzionato. Fa lavorare bene la sua squadra tatticamente. È anche un manager che sa come ottenere il meglio dai suoi giocatori. Il modo in cui ci parla non potrebbe essere più chiaro. Quando si esprime, viene dal cuore, dal profondo di se stesso. Tutto quello che dice, lo dice con sincerità. Mi ricorda la grinta che René Girard voleva inculcarci a Montpellier. Mi sono sempre piaciuti gli allenatori che sono emotivi, non era il caso di Wenger che aveva innumerevoli altre qualità».