A Il Fatto: «I miei nonni vivevano ai Quartieri Spagnoli. Da bambino andavo da loro, aprivo le finestre e ascoltavo le voci. Era come tornare in un liquido amniotico»
Su Il Fatto Quotidiano una lunga intervista al regista Mario Martone. Nato a Napoli nel 1959, ha iniziato la sua carriera nel teatro a soli 17 anni. Nel 1992 ha firmato il suo primo lungometraggio: “Morte di un matematico napoletano”, che gli valse il Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia. Tre anni dopo fu la volta del suo secondo film, “L’amore molesto”, in concorso al Festival di Cannes e vincitore del David di Donatello. In questi giorni è al cinema con “Nostalgia”.
Racconta com’era trent’anni fa.
«Uno che aveva alle spalle già una lunga esperienza teatrale; la mia prima regia l’ho firmata a 17 anni quando andavo al liceo e ancora oggi lavoro con alcuni dei miei compagni dell’epoca».
A 22 anni ha debuttato davanti a Warhol e Scorsese.
«C’è stata subito una certa attenzione rispetto al nostro lavoro, pure a livello internazionale, tanto che a 22 anni ho portato il mio spettacolo, Tango glaciale, a New York. Alla prima mi sono trovato di fronte ad Andy Warhol e Martin Scorsese. Warhol lo avevo già conosciuto a Napoli grazie a Lucio Amelio e alla sua attività di gallerista; è per lui se alcuni di noi sono entrati in contatto con certi ambienti culturali. Scorsese per me era un mito ed è stato fantastico scoprire un uomo profondamente curioso».
Come se la cava Martone con l’inglese?
«Malissimo e va malissimo ancora oggi. Eppure grazie all’Opera ho lavorato in tutto il mondo. Mi arrangio. Un giorno un musicista americano mi ha cambiato prospettiva e umore: “Con il tuo inglese vai dritto alla questione ”. Ecco, in fondo c’era una verità: con pochi vocaboli a disposizione cerco solo il cuore della questione».
Parla delle scelte circa gli attori dei suoi film, in particolare, per Nostalgia, di Pierfrancesco Favino.
«Ci sono attori che sogno da anni, da decenni: artisti che stimo tantissimo. Favino era nella lista; l’ho sempre amato e ricordo ancora la prima volta in cui l’ho visto nel film di Amelio Le chiavi di casa: era presente in una sola scena. Ho sempre lavorato con grandi attori come Carlo Cecchi, Anna Bonaiuto, Elio Germano e Toni Servillo; anche in Pierfrancesco ho ritrovato la medesima capacità di approfondire, di prepararsi, di scandagliare. Poi aggiungo il piano umano ed è la parte paradossalmente meno scontata; è un uomo speciale».
Scrive le sceneggiature con sua moglie, Ippolita Di Majo.
«È una delle mie grandi fortune: ci sediamo al tavolo e giochiamo, è un’estensione del nostro rapporto».
Gli chiedono di Massimo Troisi.
«Del mio grande amore per Massimo vorrei parlare un’altra volta. Volevo girare un film in stile Buena Vista Social Club, con tutti i membri di Napoli Centrale: ne avevo parlato con Pino, poi è morto e ho rinunciato».
Per Enrico Fierro il rumore di Napoli era la voce dei venditori.
«L’amore molesto inizia con un ambulante che urla; i miei nonni vivevano ai Quartieri Spagnoli: quando da bambino andavo da loro mi sdraiavo nella vecchia cameretta di mio padre e mio zio, aprivo le finestre e ascoltavo le voci. Non mi affacciavo. Mi bastava quell’impasto di suoni, di donne che si chiamavano da un vicolo all’altro, di venditori, di parenti, di realtà differenti. Per me era come tornare in un liquido amniotico».
Martone vive a Roma.
«Ci sono arrivato per ragioni di vita: nei Novanta ero innamorato di Anna Bonaiuto e siamo stati insieme per qualche anno; non solo: in una cena a Roma, su dieci presenti, al massimo trovi due romani; a Napoli dieci su dieci sono napoletani. A me l’osmosi fa bene».