POSTA NAPOLISTA – I contestatori erano i soliti pochissimi. C’erano tanti bambini che incitavano la squadra. Non esistono solo i social, esiste anche la realtà
Chi sono i tifosi del Napoli? Quale suffragio universale ha deciso chi può rappresentare le idee, le volontà e i sentimenti dei tifosi azzurri?
Sabato pomeriggio in una radiosa giornata partenopea sono stato allo Stadio Maradona, settore distinti inferiori nella fila più alta di tutte. Oltre alla grandissima vittoria vista sul campo da quella postazione si potevano vedere tante cose.
Intanto che una parte della narrazione mediatica sul rapporto tra tifosi, città e squadra è totalmente falsa.
Nelle due curve una parte minoritaria, a occhio (chi scrive ha una certa esperienza nel conteggiare persone in adunate pubbliche) una cinquantina per lato, sbraitava contro i giocatori, rei di non aver lottato “fino alla fine” (espressione di una cultura calcistica detestabile) per lo scudetto, e soprattutto contro l’odiato di sempre presidente De Laurentiis. Quello che quasi ormai vent’anni fa rilevò il Napoli reduce da un decennio di stagioni alquanto indegne, per riportarlo in quattro anni dalla Serie C all’Europa e per non lasciarla più (unica squadra italiana nelle competizioni europee negli ultimi 13 anni consecutivi).
Quello che per primo a Napoli ha preso di petto e risolto i problemi più complessi. Che ha contribuito con le autorità giudiziarie a estirpare le infiltrazioni camorristiche dallo stadio, che ha chiesto e ottenuto un minimo dignitoso restyling dello stadio, fino a due anni fa da terzo mondo, che ha arginato l’onnipresente abusivismo di ogni sorta intorno allo stadio, che ha permesso attuando le normative vigenti l’assegnazione del posto negli spalti con multe e presenza di steward evitando i soprusi di sempre.
Il resto dello stadio, dove ci sono i tifosi, bambini, ragazze, famiglie, anziani sabato pomeriggio era in festa. E non perché a Napoli ce basta na jurnata ‘e sole per essere felici ma perché in campo c’era una squadra motivata a riprendersi dopo una bruttissima batosta.
Insigne, il capitano ormai prossimo all’espatrio in Canada per un contratto faraonico (scelta legittima di un professionista vero e serio), non era subissato di fischi e insulti come quella narrazione vorrebbe farci credere, ma al contrario osannato e chiamato a gran voce da tanti bambini emozionati.
Mertens più di lui. Ma anche Ospina e tanti altri. Insomma c’erano su quegli spalti, oltre a tanti stranieri (per i turisti ormai la partita è tra le esperienze da vivere in un viaggio a Napoli), tanti argentini con tanta di maglia maradoniana del Boca (questo sì presidente De Laurentiis: il marchio Diego-Napoli va coltivato e promosso, per la memoria e per l’espansione del marketing), migliaia e migliaia di tifosi napoletani felici scevri da quella cronica incazzatura del non aver vinto.
Vincere è bello, un giorno magari prima o poi vinceremo. Ma non può diventare anche per noi “l’unica cosa che conta”.
Noi, direbbe Luciano De Crescenzo siamo “uomini d’amore”.
Se guardiamo agli ultimi vent’anni (quasi 18 di gestione Adl) lo scudetto in Italia lo hanno vinto solo le tre squadre del Nord. Non è un fatto casuale. È lo specchio di un Paese, ma in questa condizione politica-economica generale il Napoli calcio è l’unica cosa che prova a competere con dignità e soprattutto che a Napoli (città scassata) stessa funzioni.
I napoletani lo sanno e basta guardare la realtà con i propri occhi distogliendoli dai grandi giornali o dalle livorose bolle social.
Basta andare allo stadio di persona per capire la differenza, a Napoli sempre presente, tra popolo e plebe.
W, sempre, il popolo!
Francesco Parisi ilnapolista © riproduzione riservata