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Zugarelli: «Quando nasci povero come me, nemmeno il rispetto è sicuro. Il tennis me lo ha dato»

Al Venerdì il tennista della Davis: «Tanti tornei non potevo permettermeli, non è come oggi che ti arricchisci perdendo al primo turno. Ho trovato molte porte chiuse».

Zugarelli: «Quando nasci povero come me, nemmeno il rispetto è sicuro. Il tennis me lo ha dato»

Sul Venerdì di Repubblica Angelo Carotenuto intervista Tonino Zugarelli. Ha 72 anni. Con Panatta, Barazzutti e Bertolucci, nel 1976 vinse la Davis più contestata. Una storia che oggi è diventata una docuserie.

Zugarelli racconta le difficoltà del tennis per uno come lui, proveniente da una famiglia modesta.

«Non ero mica Gerulaitis, io, ricco di famiglia. Sono nato ai margini. Prendevo la palla ai ricchi che giocavano. È così che mi sono accostato al tennis. Da raccattapalle. Non ero benestante come Nicola Pietrangeli e perfino Panatta rispetto a me era un privilegiato: era il figlio del custode del circolo Parioli, almeno uno stipendio fisso in casa entrava. Mio padre faceva il carpentiere. Al mattino usciva di casa solo se c’era lavoro. Io sono nato in una casa abusiva di una stanza sola con un tetto di lamiera, fatta in quattro e quattr’otto, dove stavamo in cinque. Sono partito da lì e ho girato il mondo. Ho imparato le lingue. Sono stato rispettato. Quando nasci povero come me, nemmeno il rispetto è sicuro. Ho 72 anni, ma tutto questo mi è rimasto dentro».

Sulla docuserie dice che finalmente un film celebra in modo degno la vittoria della Davis.

«Mi fa piacere quando qualcuno mi ferma e mi dice: ci avete fatto sognare. Ma non posso pensare sempre al 1976. Non mi riempie di gioia l’idea che la mia vita sia finita là. Almeno questo film rende giustizia alla nostra vittoria dopo 46 anni. La celebra in modo degno».

Per molto tempo si è allontanato dal tennis.

«Erano tempi in cui se non ti chiamava la Federazione, dopo aver smesso dovevi inventarti un mestiere. Io, poi, avevo un vizio. Dicevo quello che pensavo. Ho trovato molte porte chiuse. Mi sarebbe bastato fare il maestro di tennis, essere uno dei tanti. Pensavo che avere un nome mi avrebbe aiutato, invece mi presentavo e scoprivo che c’era chi aveva paura di perdere il posto. Per molto tempo ho pensato che il mio futuro fosse lavorare la terra in campagna. Restarci a vivere per sempre. Ora faccio il coordinatore della scuola tennis al Foro Italico. Non è successo subito dopo la Davis. E comunque mi alzo ancora alle cinque e mezza per venire al lavoro».

Con il tennis non si è arricchito.

«Il tennis ha arricchito me come persona, non il mio Iban. Quando vinsi il torneo di Bastad, mi diedero diecimila dollari e ci pagai le tasse al 50 per cento. Con Barazzutti eravamo la coppia numero 7 al mondo, ma negli Slam il doppio non lo giocavo. Iniziava tardi, alla seconda settimana, quando magari ero già fuori dal singolare. Significava spese in più. Non potevo permettermelo. Non è come oggi. Un biglietto aereo costava 500 mila lire, il low cost non lo avevano inventato. Io arrivavo a Wimbledon in treno, andavo in hotel, dormivo, pagavo la notte, mettevo i panni nella borsa e uscivo. Se vincevo, tornavo e rifacevo il check-in. Se perdevo, prendevo la metro, andavo dritto all’aeroporto e me ne tornavo a Roma».

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