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La nipote di Boniperti: «Cercavo un nome per la mia linea di costumi, mi disse di chiamarla Juventus»

A Sportweek: «Veniva a prendermi a scuola, a vedere le mie recite. Da padre c’era meno, con noi nipoti è stato presentissimo»

La nipote di Boniperti: «Cercavo un nome per la mia linea di costumi, mi disse di chiamarla Juventus»
Db Torino 10/09/2013 - qualificazione mondiale Brasile 2014 / Italia-Repubblica Ceca / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Giampiero Boniperti

Su Sportweek un’intervista a Olimpia Boniperti, nipote del mitico Giampiero, ex bandiera e dirigente della Juventus. Dopo aver studiato moda a Milano, aver lavorato a New York e Londra, ha ideato una sua linea di costumi, la BePopsy. Racconta il suo rapporto con il nonno, scomparso a 92 anni il 18 giugno 2021 per insufficienza cardiaca.

«Mi diceva anche di essere onesta. Vivi la vita a testa alta. Ma erano più sgridate che altro. Ero molto vivace e dicevo sempre tutto quello che dovevo dire, senza filtri. Quando litigavamo, io urlavo e urlava pure lui. Quando si arrabbiava mi diceva: sei una villana! Quanti cazziatoni mi ha fatto».

Non parlava di lavoro, con lei, era “semplicemente” un nonno.

«Per me è stato un nonno, tante cose le ho scoperte leggendo il suo libro e le scopro ogni giorno sentendo parlare di lui. Ogni tanto mi raccontava qualcosa, ma a lui interessava più sapere cosa facevamo noi: dove sei stata, cosa hai fatto, con chi? Ma è stato un grande esempio, un grande lavoratore, se ho questo senso del dovere è merito suo. Sino a due anni fa era in ufficio tutti i giorni, a 91 anni».

Racconta un aneddoto:

«Quando è nata questa linea di costumi, non sapevo come chiamarla e allora sono andata da lui in ufficio. Nonno, dimmi un nome che ti piace più di tutto, perché è il nome più bello che ci sia, il primo che ti viene in mente: dai, dimmi questo nome. E lui: “Juventus”. Ok, nonno. Ciao».

Continua:

«Io sono molto fiera di portare il suo nome. Che vuol dire lealtà, eleganza e grandezza, amore per tutti. E devo esserne all’altezza. Mi dicono che sono uguale a lui, che abbiamo la stessa testa. Sono dritta, convinta che le cose vanno fatte in un certo modo. Voglio essere una persona per bene, corretta, forse meno furba di altri, ma meglio così, non riuscirei a specchiarmi la mattina. Sono tutte cose che mi ha insegnato lui».

E a scuola com’era?

«Veniva a prendermi, a vedere le mie recite, tutti i saggi di danza, la laurea. Da padre c’era meno, era più impegnato. Con noi nipoti è stato presentissimo. Siamo sette, io sono la seconda, la prima femmina».

Portare un cognome così, a volte, è pesante.

«Perché è sempre un’arma a doppio taglio e quanto è bello tanto è brutto e ogni tanto è più brutto che bello. Perché la gente giudica, senza conoscere. Io ci impiego poco a farmi conoscere, sono diretta direttissima. Però è facile che chi non mi conosce pensi: è la figlia di Boniperti sì, facile ha fatto la sua linea di costumi perché… perché cosa? Perché lavoro da quando ho 22 anni mi sono fatta un culo così, lavoravo 22 ore al giorno pure il weekend. Quello che ho guadagnato l’ho investito. Mio padre non sa neanche quanto ho investito. Il pregiudizio, questa è la parte brutta. E poi c’è una parte difficile: essere all’altezza del cognome che porti. Ed io devo essere precisa, ordinata, capace, con un certo stile… Più di una volta, siamo usciti per pranzo e mi ha riportata a casa perché avevo i jeans strappati: “Vai a cambiarti!”».

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