Il rapporto calcistico non c’entra niente con il rapporto con la città di cui il belga ha offerto in questi anni numerose testimonianze
Sono tra quelli che pensano che dopo nove stagioni e raggiunti i 35 anni di età non c’è da meravigliarsi se il rapporto tra un giocatore e la sua squadra si interrompe. Neanche se si chiama Dries Mertens. Troppo numeroso il numero di esempi possibili. Donnarumma, a Messi a Dibala. I giocatori passano, anche se campioni. Le squadre (le maglie) restano. E credo anche che in una scelta di carattere tecnico-tattico-finanziaria non ci sia spazio per considerazioni sentimentali. Ragion per cui se il Napoli non dovesse rinnovare il contratto a Mertens non avrei a dolermene più di tanto se non per una questione di affetto. Il punto piuttosto è chiedersi se la società lo saprà sostituire con un calciatore come minimo equivalente al miglior Mertens. E sono anche tra quelli che pensano che se è Mertens a decidere di andar via perché ottiene un contratto più ricco di quello che gli ha offerto il Napoli non è lecito dedurne che il suo sbandierato amore per la città era una finzione di comodo .
L’amore per Napoli (che turba il mio amico Max) e le vicende di campo e societarie sono disgiunti.
Con Napoli e i napoletani per Mertens è stato amore a prima vista. Auspice il suo irresistibile sorriso accattivante. Una sorta di passepartout per entrare nel cuore della gente. Affabile, disponibile, mai spaccone Mertens è entrato subito in sintonia con la città Tanto da guadagnarsi il soprannome di Ciro. A indicare quasi la concessione di un passaporto per l’ingresso nella comunità locale. Lo stesso Mertens ha raccontato in un’intervista a Repubblica come è nata la storia del nome Ciro.
“Una sera dopo cena, andammo a giocare a bowling con degli amici. Bisognava dare i nomi da inserire sul display elettronico e, per stare tranquilli, scelsero per me Ciro Martinez…”
Il legame forte con la città si ritrova sempre nelle sue parole: “Napoli, dal primo giorno che sono arrivato mi hai coccolato. Mi hai mostrato delle parti di te fantastiche. Mi hai fatto conoscere delle persone fantastiche. Per me e la mia famiglia sei diventata subito la nostra casa. L’unica maniera per ripagare tanto amore era indossare la maglia azzurra e fare gol, tanti gol, una valanga di gol. Mi dispiace per le persone che non amano Napoli perché non hanno visto ciò che ho visto io. Chi invece ama Napoli, come me, sa che è un amore che durerà per tutta la vita. Darò per te tutto me stesso fino all’ultimo giorno per rimanere nella storia di questa squadra e di questa città come il miglior goleador di tutti i tempi. Io goleador? Chi l’avrebbe mai detto, ma non è finita”.
In un’intervista a Marco Azzi e Pasquale Tina di Repubblica, Mertens dichiarava: “Ho visto per la prima volta il Castel dell’Ovo quando venni a giocare qui con l’Utrecht in Europa League”. Stanza con vista sul lungomare, il salotto buono della città. Mertens, a dire il vero, ama tutta Napoli e lo dice senza peli sulla lingua. “Non riesco ad esprimere una preferenza. Mi piacciono Ischia e Capri, Pompei ed Ercolano. Ma ho anche mangiato ai Quartieri Spagnoli e sono stato benissimo”. E ancora: “Mi dicevano di evitare certi posti. Non ho mai ascoltato nessuno. Io e mia moglie abbiamo visitato tutto”. E prosegue: “Il sole mi conquista ogni giorno. Ho lasciato la Nazionale mercoledì sera e a Bruxelles faceva freddo, torno qua e vengo abbracciato dal caldo. E poi trovo l’affetto della gente. Adesso è facile perché mi riconoscono tutti, ma io ricordo la disponibilità quando sono arrivato. Erano pronti ad aiutarmi”.
Davvero tenera la sua dichiarazione relativa a un desiderio espresso nel 2013. “Vedevo sempre le foto di Maradona sulle pareti dei ristoranti. E il mio obiettivo era di guadagnarmi un posticino simile a quello. Adesso sono felice perché sono ovunque”.
Mertens in un’intervista a Il Mattino dichiarò, tempo fa, di essere rimasto a Napoli perché convinto di poter vincere lo scudetto. Mentre, intanto, si faceva cullare dalle bellezze secolari del luogo. “Napoli? Dice che ci si innamora dei difetti e pure se ce ne sono io non toccherei nulla. Lascerei tutto com’è. Io sono innamorato di tutto quello che c’è qui, dall’atmosfera che si respira al centro storico e ai Quartieri spagnoli dove pure mi sarebbe piaciuto andare a vivere, ai tramonti di Posillipo. Io parlerei per ore di Napoli, non mi stanca mai farlo”.
Mertens vive a Posillipo. E il suo rapporto con quel quartiere lo descrive magistralmente Mimmo Carratelli sul Guerin Sportivo: “Dries a Posillipo è entrato nelle visceri della città, abitando in un palazzo misterioso, ‘il bigio palazzo che si erge sul mare’, come lo definì Matilde Serao, Palazzo Donn’Anna, fortezza di tufo imponente ma leggera come il tufo, la pietra di Napoli, e luogo di antichi amanti e sospiri, tradimenti e assassini. È in questo posto, davanti al mare scintillante della spigola ingannevole di Dudù La Capria, che Napoli è entrata nella pelle di Dries. Anna Carafa, la leggendaria padrona del Palazzo sull’acqua, gli sussurra ogni notte l’incanto della città e la bastardina di Dries, Juliette, abbaia. Ci sono ancora i fantasmi a Palazzo Donn’Anna? Glielo chiedono i negozianti di via Posillipo. “Ci sono i fantasmi, Dries?”. “Sì, ci sono e hanno tutti la faccia di donna Carafa”. Dries conosce perfettamente la storia di Palazzo Donn’Anna. Per questo Mertens è diventato il principe di Posillipo. La sua casa ha un terrazzino a picco sul mare, all’orizzonte il Vesuvio verde e viola e la roccia di Capri. Può essere la felicità se si sa coglierla”.
Come non ripensare a ‘Ferito a morte’, capolavoro della letteratura italiana, nel leggere le parole di Carratelli sul rapporto tra Mertens e la sua casa di Palazzo Donn’Anna. Il palazzo della ‘bella giornata’ di Raffaele La Capria. E del disincanto. Dove viene affrescato ‘quell’inseguire continuo e precario della bella giornata, sempre mancata, sempre promessa’.
Ecco, i tifosi aspettano la bella giornata. Sempre mancata. Sempre promessa. E lo fanno con quel filosofico disincanto proprio della nostra gente. Poiché la bella giornata è sempre lì, sull’uscio.
Per certi aspetti Ciro-Dries è l’esatto opposto di Massimo, il protagonista di ‘Ferito a morte’ che abitava a palazzo Donn’Anna. In una casa con un balconcino dal quale ci si poteva tuffare in mare. Una bella giornata era annunciata dai raggi di sole che, penetrando attraverso le imposte, invadevano la stanza. La bella giornata, che poi era una giornata qualunque. Nella quale non accade apparentemente nulla di fondamentale. Eppure si presentano tante occasioni. Passa una spigola mentre nuoto. Le sparo con l’arpione o non le sparo? E la spigola se ne va. Che bella ragazza. La fermo o non la fermo? E la ragazza se ne va. Massimo fa molta simpatia, sempre così incerto ed indolente. Per molti versi è l’opposto di Mertens sicuro di sé e iperattivo.
E in proposito Carratelli osserva ancora: “Dries non perde tempo alla playstation. Vive intensamente la città e il pallone è una parte della sua storia napoletana. Dries corre da Aurora in ospedale, la bimba che ha il cancro, e gioca con lei “a moglie e marito”. Corre in Piazza Garibaldi per sfamare i senzatetto con tranci di pizza. Dries è ai baretti di Chiaia, ai Quartieri spagnoli, alla Sanità. È la vita di Napoli che lo attrae, il dolore e la gioia dei quartieri più popolari”.
Non è un caso se Mertens ha dichiarato di non capire quei calciatori che hanno rifiutato Napoli perché la ritengono una città pericolosa. “Chi la considera pericolosa, semplicemente non ci è mai venuto”.
E tra tanti luoghi di vita e di storia, Dries sarà sicuramente passato anche dalla Scala a San Potito. Sito narrato nel bel romanzo di esordio, a torto dimenticato, di Luigi Incoronato. Nel quale viene descritto con grande efficacia il mondo disperante di quei diseredati che, avendo perso tutto a causa dei bombardamenti, alloggiavano sulla Scala a San Potito. Da lì in un attimo si raggiunge Toledo e torna in mente Viviani con la sua “Toledo ‘e notte”. Ma ancor più Scende giù per Toledo di Giuseppe Patroni Griffi. Storia apparentemente scandalosa di un femminiello napoletano.
Napoli è stata sempre una fonte ricca per lo storytelling. Storytelling letterario, audiovisivo o anche semplicemente verbale. Napoli insomma è stata sempre narrata. Attraverso l’uso di tutti gli strumenti di narrazione disponibili. Letteratura, cinema, teatro, musica, tradizione orale… Con accenti talvolta concordanti e talvolta discordanti. Essa è stata da sempre ispiratrice di narrazioni. Dice ad esempio Raffaele La Capria: “In teatro è stata rappresentata da Eduardo magnificamente, ma gli autori che lo hanno preceduto, Viviani innanzitutto, hanno dato una immagine grande della città. È una città che si esprime sempre in forme che possiamo definire teatrali, due napoletani che discutono in strada volgono lo sguardo intorno per vedere che effetto fa la loro disputa, come per una messa in scena”.
A volte però le dichiarazioni di Mertens vanno contro il disgustoso storytelling e lo stereotipo che da tempo affligge la città, dando chiaramente l’idea della personalità non banale del ragazzo. Estroverso, franco, leale, alieno dall’accettare pregiudizi e luoghi comuni.
Di Mertens la gente apprezza molto anche la naturale generosità, spontanea e mai ostentata. Che lo ha aiutato a creare un legame di forte empatia non solo con i tifosi ma con tutta la città. Il gradimento di cui gode Mertens per il suo stile di vita è trasversale alle classi sociali. Sono molto significativi alcuni semplici gesti di solidarietà, come quando Dries, insieme alla moglie Katrin, decise di adottare dei cani abbandonati ed evitare la chiusura di un rifugio per randagi nei pressi di Ponticelli.
Mertens è diventato insomma un personaggio molto amato dai napoletani non solo per i suoi goal, per i suoi assist, per i suoi inserimenti sopraffini, per la sua classe cristallina ma anche – e forse soprattutto – per numerosi gesti compiuti fuori dal campo di calcio. Come, ulteriore esempio, quello di consegnare cibo ai senzatetto. Un’azione che ha cercato di non pubblicizzare realizzandola con la massima riservatezza. Ma per i divi del calcio spesso la riservatezza è un privilegio negato. E ancora come non menzionare la solidarietà dimostrata con le diverse visite presso gli Ospedali della città. Per incontrare i bambini più sfortunati alle prese con gravi patologie. Affetto e cortesia ricambiati, in occasione dei difficili giorni dell’emergenza coronavirus, dagli stessi medici e infermieri, con una tuta medica in onore del belga.
Molto bella la testimonianza, proposta alcuni anni fa da Il Napolista, del fotoreporter Pete Muller che ha scattato la foto che ha catturato l’attenzione di Dries Mertens.
Il momento più difficile di Mertens con il Napoli risale all’autunno del 2020 e alla brutta serata dell’ammutinamento dei calciatori contro il ritiro deciso dal Presidente De Laurentiis. Pare che Dries fosse stato il primo a lasciare il San Paolo per far ritorno a casa, litigando animatamente (si narra) anche con il direttore sportivo Giuntoli. Successivamente ha ammesso sulle pagine de Il Mattino l’errore commesso quella sera: “Cosa è successo la notte post Salisburgo nel corso dell’ammutinamento? È passato, dobbiamo andare avanti. È stato un periodo in cui tante persone hanno sbagliato. Ma dobbiamo pensare a quello che ci aspetta adesso perché la strada intrapresa è quella vincente. Certi errori ti rendono più forte, è vero, ma quello che ti fa più forte è vincere.”
E dopo le polemiche, anche aspre, con Aurelio De Laurentiis, Dries affabile e conciliante dichiara “Ci conosciamo da sette anni, con lui è come andare sulle montagne russe: un continuo salire e scendere. Se non mi fossi legato a lui, però, non sarei potuto rimanere”.
Insomma un Mertens diviso in due, in quel frangente. Prima polemico rivoltoso. Poi calmo e ragionevole. E anche qui si manifesta l’intelligenza di chi capisce e ammette i propri errori. Per un certo verso, anche in questa circostanza, torna in mente Calvino. Con il suo Il visconte dimezzato. Alla fine del ‘600 il visconte Medardo partecipa a una guerra di religione. Teatro: la Boemia. Colpito in pieno da una palla di cannone, si ritrova diviso in due metà. Esattamente simmetriche. Ognuna delle due parti vive una vita sua. L’una è la metà maligna. Capace di ogni atrocità. L’altra è la metà buona. Dedita al bene altrui. Fin qui la trama dell’opera simboleggia alla perfezione il comportamento di Mertens rispetto a quella triste vicenda. Il romanzo si conclude con l’intervento di un medico che ricuce le due metà. E Medardo torna tutto intero.
Tutto ciò non può essere finto. Ma è semplicemente vero che si può amare un luogo ma scegliere di lasciarlo perché attratto da convenienze professionali. Il che non è una colpa.