È dura sopravvivere all’ambiente Napoli. Le contestazioni, la mancata tutela da parte di De Laurentiis. Le ragioni e i torti del cambio di linea
Il giornalismo italiano è meraviglioso. Per comprendere la situazione nel Napoli si fa finta di basarsi esclusivamente sulle tre frasi in croce rilasciate l’altra sera da Luciano Spalletti a Sky. In realtà, ovviamente, tutti hanno analizzato al microscopio il pezzo di ieri di Giancarlo Dotto sul Corriere dello Sport. Dotto è l’unico vero amico che Spalletti ha nel giornalismo italiano. Categoria, quella dei giornalisti, verso cui il tecnico di Certaldo non nutre una profonda stima (per usare un eufemismo). È lì, in quelle copiose righe – novanta – che è concentrato lo Spalletti pensiero. È lì che ci sono le prove della divergenza, se non spaccatura, tra l’allenatore e il presidente. È lì che è scritto nero su bianco che lui si dimetterebbe un secondo dopo l’addio di Koulibaly. Che al posto di Osimhen vedrebbe bene Dzeko. Che Kvara non lo conosce ma si fida di Giuntoli. Che Deulofeu non lo vuole perché non adatto al suo gioco. Frase che tra l’altro ha fatto cadere dalle nuvole il Napoli: pare che Luciano non abbia fin qui mai manifestato alcuna contrarietà all’acquisto dello spagnolo ex Barcellona.
Il Napoli fa finta di credere che il pezzo di Dotto sia farina del sacco di Dotto. Altro non può fare. Smentite, ovviamente, non sono arrivate.
È importante notare come sia in parte rapidamente cambiato il giudizio dell’ambiente su Spalletti. Dall’ostracismo nei confronti dell’aziendalista responsabile del mancato scudetto, si è passati all’hombre vertical garante del progetto. A Napoli ci vuole poco per essere apprezzati. Ha ragione la Gazzetta: anche la nostra impressione è che gli eventi extra-campo di fine stagione abbiano segnato e turbato l’allenatore toscano. Più che comprensibilmente a nostro avviso.
“Il calcio italiano è in mano agli ultrà”, disse decenni fa Fabio Capello. Ecco, nulla è cambiato. A Napoli non è solo questione di ultrà, è tutto l’ambiente che è più o meno in linea con la tifoseria organizzata, i loro striscioni e le loro “iniziative”.
Non deve essere stato semplice per Spalletti: si aspettava i doverosi complimenti per la stagione, per il ritorno in Champions dopo due anni di buio, per aver lottato per lo scudetto fino a cinque giornate dalla fine, e si è ritrovato uno striscione contro, la contestazione con uova al pullman della squadra, una discussione a dir poco accesa dalle parti di Castel Volturno. L’allenatore è un lavoro. Ben pagato ma non certo per compensare la mancanza di sicurezza e tranquillità. Spalletti ha chiuso una stagione da nove ed è stato invece trattato come se fossimo arrivati settimi.
A Napoli il clima è quello che è. L’ambiente – tutto, dal re al criminale – considera il presidente l’unico vero problema del Napoli. E sono convinti che senza di lui, nascerebbe una faida negli Emirati Arabi per chi debba versare più milioni di euro a fondo perduto nelle casse del club. Eventualità considerata, tra l’altro, una logica conseguenza della centralità nel mondo di Napoli città – secondo loro – universalmente riconosciuta come la più bella del sistema solare. È inutile provare a illustrare loro quel che – al di là della grottesca propaganda dei media – sta accadendo nei club del Nord. È tempo perso.
Del resto da un lato De Laurentiis non contempla il rapporto con i media, dall’altro lo stesso presidente ha dimostrato più volte che non è tipo per il quale valga la pena immolarsi: è troppo alto il rischio di ritrovarsi da soli in mezzo al mare. Come peraltro accaduto allo stesso Spalletti accusato poche settimane fa di scarsa napoletanità. Frase a dir poco spiacevole visto quel che stava accadendo in quei giorni, con il tecnico unico imputato nel processo per il mancato scudetto (frutto di un vero e proprio delirio collettivo). E, aggiungiamo, come dimenticare la visita a casa Mertens subito dopo il battibecco televisivo tra l’allenatore e il belga? Se diciamo che il tecnico non si è sentito protetto dal suo datore di lavoro, crediamo di non andare molto lontano dalla verità.
Insomma se pure Spalletti, come a noi sembra, abbia deciso di smettere i panni dell’aziendalista, francamente non possiamo dargli tutti i torti. Soprattutto dopo le dichiarazioni del presidente sul possibile scudetto. Certo il modo scelto dall’allenatore per marcare la sua distanza è discutibile. A chi scrive non è piaciuto. Ma è per certi versi comprensibile. Non è carino fare il bersaglio al luna park.
Gli unici veri dati di fatto sono due: la distanza tra presidente e allenatore, un classico nella gestione di questo Napoli. E la presenza di questo moloch che è l’ambiente Napoli che alla fine condiziona la vita del club molto ma molto più di quanto si possa immaginare. Tutto a Napoli è rivolto alla divinità ambiente, anche le stupide frasi di De Laurentiis sulla vil moneta.
Un ambiente che è perennemente “a letto con il nemico”, incapace di fare fronte comune, di decrittare la propaganda dei media sui club del Nord. La realtà è questa, va accettata. Da queste parti non ha fatto breccia Woody Guthrie con il suo “right or wrong, my country”. Il nemico è De Laurentiis considerato l’unico e solo male di questo club. Basta guardare cosa sta accadendo per Mertens calciatore da noi considerato una divinità ma che fin qui non ha ricevuto uno straccio di offerta da club di prima e seconda fascia (ci stiamo avviando a un remake di Toronto?)
È inutile anche parlare del mercato fin qui fatto dal Napoli. A nostro avviso ottimo. Ma conta la realtà percepita non quella reale. Almeno fin quando non si giocherà.
Lo stato delle cose è questo. Stentiamo a credere che qualcosa possa cambiare. Che i due possano guardarsi in faccia e decidere che non sia più il caso di proseguire insieme. Sarebbe una sorpresa per chi scrive. Sarebbe anche giusto che De Laurentiis portasse avanti nella massima chiarezza il progetto di ringiovanimento del Napoli e di addio a un gruppo di calciatori che a nostro avviso ha fatto il suo tempo. Magari Spalletti accetterebbe anche, una volta chiarito tutto pubblicamente. Oppure le strade possono dividersi, non ci sarebbe nulla di male. Invece temiamo che ad attenderci ci sarà un anno di battaglia interna di posizione. L’ennesimo.