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Van Basten: «Messi non è uno che va in guerra per te, Maradona ha sempre avuto più personalità»

A France Football: «Pelé, Maradona e Cruyff sono per me i tre più grandi giocatori della storia. Da bambino volevo essere come Cruyff. Mi manca»

Van Basten: «Messi non è uno che va in guerra per te, Maradona ha sempre avuto più personalità»
1989 archivio Storico Image Sport / Napoli / Milan / Diego Armando Maradona-Marco Van Basten / foto MB/Image Sport

Marco Van Basten ha rilasciato un’intervista a France Football in cui parla anche di Maradona.

«Pelé, Maradona e Cruyff sono per me i tre più grandi giocatori della storia. Cruyff è stato sempre il mio esempio. Da bambino volevo essere come lui. Ho avuto la possibilità di giocare con lui, contro di lui, di essere suo amico. Mi manca. Anche Pelé e Maradona sono stati ugualmente incredibili. Devo dire che anche Messi è un giocatore magnifico, ma Maradona ha sempre avuto più personalità in una squadra. Messi non è quello che si mette davanti per andare in guerra. Non dimentico nemmeno Ronaldo, Platini o Zidane».

L’ultima partita che ha giocato è stata nel 1993, la finale di Champions League contro il Marsiglia.

«In quel momento, non lo sapevo».

Dice, come non sapeva delle difficoltà che avrebbe avuto dopo.

«Il calcio era la mia vita e ho perso quella vita. Per molto tempo, ho odiato i medici che mi hanno operato».

Nella primavera del 1995, dopo diversi trattamenti infruttuosi, l’ex attaccante non poteva più mettere il piede a terra, a volte doveva raggiungere il letto a quattro zampe per non soffrire. Il minimo movimento diventava un tormento e i sedativi non avevano più alcun effetto.

«E’ stato terribile».

Continua;

«Mi chiedevo perché questi dottori si fossero fermati. Vedevo Maldini, Baresi continuare a giocare, e io non ce la facevo più».

Poi, con il passare del tempo, la rabbia ha finito per scomparire e anche i dolori. Grazie ad un’ultima operazione  radicale:

«Un medico olandese finì per fissare il mio stinco al mio piede. La mia caviglia si è fusa. Mi disse che se volevo camminare normalmente a 65 anni, dovevo smettere di fare alcune cose. Ma oggi ho una vita normale, sto bene. Non sento più dolore, posso giocare a golf. Mi sono sentito come se avessi ancora un sacco di cose da fare nella mia carriera, ma non ho potuto».

Un incontro casuale fatto a Monaco gli ha permesso di cambiare prospettiva.

«Incontrai un francese molto forte al footvolley. Gli chiesi se era un ex giocatore professionista. Mi disse che era un addetto ai bagagli all’aeroporto di Nizza e che aveva dovuto interrompere la sua carriera a causa di una rottura dei legamenti del ginocchio. Mi ha aiutato a sdrammatizzare. Guardando indietro, mi dico che ho avuto una carriera molto bella e che dovrei essere grato per averla vissuta. Questa ferita fa parte della mia vita e devo accettarla».

Sul suo ruolo da allenatore (Olanda, Ajax, Az Alkmaar):

«Non sono bravo a fare l’allenatore. Quando fai un lavoro, ti deve dare soddisfazione ed energia. Ho dato più energia di quanta ne abbia ricevuta. Dai molto ma non ricevi altrettanto. Ero stanco, stressato, non volevo ammalarmi. È stata un’esperienza, ci ho provato ma non è andata».

Nel 2016 è entrato nella Fifa per trovare modi per migliorare il gioco attraverso la tecnologia e l’innovazione. Ha proposto l’eliminazione del fuorigioco e l’espulsione temporanea.

«Dobbiamo fare tutto il possibile per mantenere gli spettatori, per continuare a far venire loro voglia di guardare questo sport. Il gioco deve rimanere interessante ed emozionante. I giocatori che parlano con gli arbitri, che rimangono a terra, sono cose che non vanno bene per il calcio. Dobbiamo mostrare alla gente il gioco e non i giocatori che si lamentano. Dobbiamo rendere il calcio attraente e spettacolare per il pubblico».

Parla del fair play finanziario:

«C’è bisogno di competizioni equilibrate, con squadre allo stesso livello. Si parla tanto di Superlega ma è già così, i club più ricchi dominano tutti gli anni. Le sorprese come il Villarreal (semifinalista di Champions) sono sempre più rare. Negli anni Settanta non c’erano tanti soldi e i tornei erano più imprevedibili. Non è più così, al vertice ci sono sempre le stesse squadre. Oggi il gruppo del Manchester City ha 150 calciatori sotto contratto, dieci club in Europa. Platini aveva introdotto il fair play finanziario per cercare di limitare le diseguaglianze ma gli avvocati hanno trovato il modo di aggirare le regole. È triste per il calcio».

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