ilNapolista

«Zivojinovic era insopportabile, arriva McEnroe e gli fa: “Chiudi quella cazzo di bocca e vai a imparare il rovescio”»

Il racconto del tennis “mentale” di Svensson a L’Equipe: “Lendl provocava tutti, Gilbert ti prosciugava. A noi svedesi ci hanno costretti a diventare tutti come Borg”

«Zivojinovic era insopportabile, arriva McEnroe e gli fa: “Chiudi quella cazzo di bocca e vai a imparare il rovescio”»

Ai tempi di Jonas Svensson,”venivi costantemente testato dagli altri giocatori. Alcuni volevano dominare gli spogliatoi. Come lo jugoslavo Slobodan Zivojinovic (numero 19 nel 1987). Parlava sempre ad alta voce, in modo meccanico; tutti erano infastiditi da lui, ma una volta John McEnroe entra nella stanza e dice: “Chiudi quella cazzo di bocca e vai a lavorare sul tuo rovescio”. Slobodan è diventato minuscolo. Tutti avevano paura di McEnroe”.

Svensson è stato semifinalista al Roland Garros nel 1988 e nel 1990, è stato un top 10. Si è ritirato prima ancora di festeggiare il suo 29esimo compleanno, nel 1995. “Non ero un grande fan del viaggi”, dice a L’Equipe che l’ha intervistato per farsi raccontare un po’ di aneddoti di quel meraviglioso tennis degli anni 80 e 90.

Racconta che anche Lendl era un maestro della pressione mentale:

Ivan, provocava tutti, per tutto il tempo. Puntava a dove ti faceva più male: ‘Come stai, piccolino? Vedo che sei ingrassato…’. Quando i suoi avversari entravano in campo, li infastidiva così tanto che era come se iniziassero la loro partita sullo 0-3. Io, se sono riuscito a batterlo più volte (tre volte su cinque), è perché reagivo ai suoi giochi con gentilezza. Gli ho tolto le forze e, contro di lui, partivo sullo 0-0″.

C’era, poi, “un giovane Richard Krajicek cercava sempre di entrarmi nella testa. Cercava di spingermi a litigare. Eravamo a Monte-Carlo, mi ero appena infortunato e andai dai fisioterapisti. La stanza era piena, tutti i lettini erano occupati da giocatori che avevano problemi, tranne uno. C’era lui, sdraiato, che guardava la TV. Richard, puoi lasciarmi il tavolo per favore, gli dissi, devo farmi controllare. No, rispose. Penso: Che idiota. Allora glielo chiese il dottore e lui non si mosse lo stesso di un centimetro. Ero furioso. Paul Haarhuis, olandese come lui, mi disse: se lo avesse fatto a me, lo avrei sbattuto contro il muro”

Dice che il giocatore più forte che ha incontrato, quello che gli dava più fastidio, è stato Chesnokov (numero 9 nel 1991). “Ho sempre avuto l’impressione di poterlo battere ma in realtà nessuna possibilità (4 sconfitte in 4 partite). Ero sotto pressione senza esserlo, strano…”.

Ricorda un passante fenomenale di Sampras “Mi sono detto: mamma mia, quello è di un altro livello”. E che Stefan Edberg è l’esempio di come i campioni diventino campioni:

Stefan ha svolto un’ora di lavoro fisico ogni giorno dall’età di 12 anni fino al giorno in cui è andato in pensione all’età di 31 anni. Lo faceva ogni giorno. Non è un modo di dire, OGNI giorno. Questo fa la differenza. Aveva in mente di diventare il numero uno del mondo, ma non solo: aveva anche intenzione di restarlo. Io amavo il tennis, ho fatto di tutto per il tennis, ma senza avere un’ambizione così. Devi essere così convinto ed essere pronto a fare tutto ogni giorno. Io avevo bisogno di settimane di riposo. Mentalmente potevo resistere per tre settimane, ma dopo non ce la facevo più. Troppo difficile per me. Lendl, Edberg, Agassi, hanno continuato, tutto il tempo…”.

A proposito del tennis “mentale”, dice che il suo più grande successo è stato battere Brad Gilbert a Stoccolma, nel 1992. “Brad giocava un tennis che ti faceva stare malissimo… Ti prosciugava. Non avevo energia davanti a lui, mi sentivo la creatura di Frankenstein. Ma sono comunque riuscito a batterlo una volta. Qualcosa come 6-4, 6-3, tranne per il fatto che mi sembravano sei ore. Ho tenuto tutto dentro, ma quel giorno quello che ho sentito era pazzesco”.

Il fatto che il “tenere tutto dentro” faceva parte dell’educazione svedese al tennis, una mentalità indotta.

“Gli svedesi della mia generazione hanno subito un lavaggio del cervello: dovevamo essere come Björn Borg, anche se non eravamo affatto come Borg. Dentro impazzivo, ma ci hanno insegnato a tenere la bocca chiusa, il fair play, ecc. Era un’ingiunzione così forte che mi tenne sotto controllo”.

ilnapolista © riproduzione riservata