Grazie a lui lo Steaua vinse la Coppa dei Campioni del 1986. Lo diedero per morto per colpa di Ceausescu, invece si era solo operato al braccio per una trombosi

Il 7 maggio del 1986 Helmut Duckadam, portiere romeno dello Steaua, originario di Semlak, al confine con l’Ungheria, entrò nella storia. Era il giorno della finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona, a Siviglia. Tutti davano per favorito il Barça, ma successe qualcosa di magico. La sua storia è su Il Fatto, raccontata da Roberto Beccantini.
La partita regolamentare finì 0-0, furono necessari i rigori per decidere il vincitore della coppa. E Helmut ne parò 4 su 4, regalando la vittoria allo Steaua, che aveva segnato solo due penalty. Lo Steaua, squadra molto vicina alla famiglia Ceausescu, fu il primo club del blocco orientale a fregiarsi del titolo. Helmut Duckadam era un tipo strano, racconta Beccantini.
“adora il poker, gli piace camminare per strada e si diverte a chiedersi – come ha scritto Jonathan Wilson nel libro The Outsider – “che cavolo gli frullerà mai per la testa, a questo?””.
La singolarità della sua storia non sta tanto nel fatto che parando i 4 rigori permise allo Steaua di vincere la Coppa, o almeno non solo. Il fatto è che Duckadam, poco dopo quella partita, scomparve, letteralmente, per 39 mesi.
“Il 12 giugno (del 1986) viene operato d’urgenza a Bucarest per una trombosi al braccio destro. Il 28 settembre 1989 riaffiora nel Vagonul di Arad, dai fasti andalusi alla serie B. Briciole di carriera. Le ultime. Le date indicano una voragine di 39 mesi. Siamo ancora nella Romania prigioniera, si fa presto a lavorare di misteri, di complotti. E, perché no, di vampiri. Le voci corrono, la fantasia dilaga. Si va da una fucilata durante una battuta di caccia alle botte degli sgherri di Valentin, figlio del dittatore. Narrano che re Juan Carlos, sfegatato madridista, avrebbe regalato all’eroe una Mercedes per lo smacco inferto (al Barça) e che il rampollo, pur di averla, sarebbe stato disposto a tutto. Non manca un cenno agli intrighi di Nicu, fratello di Valentin, simpatizzante della Dinamo, protesi della Securitate, la polizia segreta del regime”.
Nel 1990 Beccantini intervistò Helmut per la Gazzetta dello Sport. Ceausescu e la moglie Elena erano stati appena fucilati. Il portiere gli raccontò:
«Stavo giocando con i miei figli, Robert e Brigitte, scivolo e mi faccio male a un braccio. Dolori sempre più acuti. Penso: saranno i soliti, maledetti, problemi di circolazione. Mi portano dal dottore. Diagnosi secca: trombosi. Altro che macchinona, altro che imboscate. Quattro ore sotto i ferri e un verdetto che è una lapide: preghi il suo Dio».
Insomma, Valentin non c’entrava niente.
«Io con Valentin non ho mai avuto rogne. Amava il football e trovava nella Steaua il suo sfogo, il suo Luna Park».
Al calcio Helmut preferì la Resistenza: combatté col Fronte di salvezza nazionale, partecipando alla liberazione della Romania, nel 1990.
A Beccantini confessò:
«La rivoluzione? L’ho fatta. Il Fronte di salvezza nazionale mi aveva nominato membro del consiglio di Arad. Distribuivo medicinali e prodotti alimentari, per una settimana ho dormito in municipio. Tenevo sempre con me la carabina, quella sul cui calcio avevo intagliato una piccola Coppa dei Campioni e le mie iniziali. Ho sparato, sì».
Oggi Helmut ha 63 anni. Con il premio per la vittoria di quella Coppa, 200 dollari, comprò una Dacia.
“E la Mercedes? I baffi alla Zibì Boniek esplosero in una risata. Undici metri possono cambiare la vita, ma senza esagerare”.