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La lectio di Spalletti: imparate a stare zitti

Se non resti in fila mezz’ora per scegliere un pezzo di tonno, non puoi capire il Sud. Mentre Napoli e il suo presidente sono alle prese con le perenni figure di merda

La lectio di Spalletti: imparate a stare zitti
Db Dimaro (Tn) 17/07/2022 - amichevole / Napoli-Perugia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Khvicha Kvaratskhelia-Luciano Spalletti

Quest’anno, per soddisfare la mia consueta e intima misantropia medio borghese cui d’estate posso dar sfogo, ho optato per il ragusano. Vivere qualche settimana su un colle isolato a qualche decina di chilometri dal canale di Sicilia – e ad altrettanti, o forse meno, dal luogo natio di un meraviglioso uomo del sud, per scelta e non per caso, come Gesualdo Bufalino – è il privilegio cui ogni europeo del nord dedica almeno parte del proprio lavoro invernale. L’isola della luce e del lutto, come scrisse la penna di Comiso, è per molti versi il meglio del sud del continente – assai poco ciarliero, parsimonioso in pensieri e parole, immobile sotto la canicola che domina, tra chilometri quadrati di pomodori e mucche che solo una manciata di uomini e donne coraggiosi possono curare.

La Sicilia è il sud per chi lo sceglie, non per chi volgarmente ci capita: è un luogo deputato a raccontare la morte attraverso la temporanea vitalità, il buio come contrasto con la luce. Ed è un luogo che richiede silenzio per ottenervi accesso, dunque molto spallettiano. Il coach azzurro ha finalmente detto quanto va detto per non dire più nulla: imparate a stare zitti. Istruitevi all’arte di tacere. Anzi, dire a quello che urla di placarsi. Riservate risorse per quelle sparute manciate di occasioni in cui le vostre opinioni possano contare qualcosa che sia meno di zero. Un minuscolo epsilon piccolo a piacere. Tali momenti sono preziosi perché rarissimi. Lo abbiamo imparato negli ultimi anni di pandemie e guerre, in cui ciascuno si è incaricato di costruire il proprio inutilissimo punto di vista e di implementare l’ancor più inutile canale di comunicazione per esprimerlo al mondo. Quanto tempo sprecato in modo così poco adatto al sud.

Spalletti, come un moderno Bufalino, ha raccomandato di apprestarsi al silenzio, imparare la meridionalissima sapienza del non dar fiato ad alcuna tromba se non strettamente necessario, perché parlare provoca sudore e la calura non perdona.

La quiete e la lentezza di questa isola hanno fatto emergere ancor di più, in questa estate torrida, il rapporto secolare del napoletano con la sempiterna figura escrementizia. Saggi andrebbero letti ed affrontati sul chi venne prima al mondo, la figura di merda o il napoletano. Quest’ultimo, difatti, vive nel costante e frustrato tentativo di esorcizzarla, eppure dati storici ci dicono che difficilmente esiste il secondo senza la prima. Nessuno fa eccezione, né il tifoso né l’apparentemente gigioneggiante presidente. Il primo, infatti, urla durante una kermesse per invocare la figura di cui sopra e ricoprirsi di odoroso materiale escrementizio in pubblico; il secondo cerca disperatamente e in ogni modo di farsi amare dal primo, urlante, costruendo una narrazione di marronissima secrezione attraverso l’acquisto inutile che serva ad una ancor più inutile figurella odorosa. Insomma, napoletano e popò vanno a braccetto seppur in un rapporto di apparente detestabilità, di reciproco timore o strisciante sospetto.

Fortunatamente, ogni tanto spuntano gli eventi spallettiani sui palchi a ricordare l’ovvio: altri vanno via, altri verranno e son già venuti. Il mondo continuerà a girare, dimentico delle figure di merda. Il sud continuerà ad esistere nonostante il ciarlare dei suoi abitanti e dei suoi presunti tifosi. Il campo continuerà a brillare e dove vissero i senegalesi correranno i georgiani. Molto semplice.

Il calcio in Italia è sempre più un reparto geriatrico, a tratti d’urgenza. Gridano, nei ritiri, i trentenni sull’orlo del quaranta, i quasi cinquantenni, i sessantenni alla soglia dei settanta. Ma la palla rimane dei ragazzi, gli adolescenti, quelli che niente sanno (per fortuna) dei passati ormai passati e cui nessuno di questi pensionandi scalmanati dà voce. Il Napoli continuerà ad esistere se ci saranno altri Spalletti a zittire i meno perspicaci tra questi anzianotti, a silenziare quelli che gridano il dolore di un tempo che cambia, che tuttavia non è peggiore del passato. È solo diverso. E fa paura. Tanto al presidente quanto agli ultras. Tutti, per rimanere in metafora, come suol dirsi, eterni cacati sotto. Cioè tutti napoletani.

Con Spalletti diciamo che – tutto sommato – non ce ne frega niente. E che per essere del sud ciascuno deve capirne il prezzo altissimo, una vertigine che puoi provare solo pochi giorni all’anno.

Ho visto con i miei occhi, alle nove di un lunedì mattina, nei meravigliosi e fatiscenti mercati ittici barocchi catanesi, persone spendere trenta minuti d’orologio per selezionare il pezzo corretto di tonno da usare per il pranzo. A queste latitudini è inutile qualunque quantitative easing, tasso di interesse o misura di produttività: qui le persone usano il tre percento della propria giornata a scegliere il pesce. Se non si capisce questo, si capisce nulla. Se da queste parti ci si prende troppo sul serio, si sfocia facilmente nella figura di merda, mentre essere il sud, per scelta e non per caso, significa – ogni tanto, solo quando te lo puoi permettere – spendere tutti quei trenta minuti al banco del pescivendolo come fossero gli ultimi, esiziali. In doveroso silenzio spallettiano, a scrutare i tonni come fossi don Gesualdo – “Da qui il nostro orgoglio, la differenza, il pudore; e il senso di essere diversi”.

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