L’importanza di avere un allenatore fuoriclasse, in campo e fuori. Prima la Conference, poi Dybala. I Friedkin hanno fatto il colpo con José
In poco più di un anno, José Mourinho, a Roma, ha fatto la rivoluzione. Per davvero, però. Senza millantare assalti al palazzo. Beati coloro che si riempivano (e si riempiono tuttora) la bocca di «Mourinho bollito», scrivevamo mesi fa. Bollito un corno. Il portoghese ha allargato gli orizzonti della Roma, in tutti sensi. Un anno e mezzo fa Roma era una piazza depressa, avvilita dagli sguardi persi nel vuoto di un Fonseca sfiduciato da proprietà e tifo. Oggi è piazza ambita, rispettata. E questo perché è lui, Mourinho, che indicato un percorso, l’ha proposto. Ed è un percorso con margini di crescita importanti. Il “colpo” Dybala, che si è preso le prime pagine di quotidiani sportivi, ne è solo l’ennesima prova.
Sì, perché Dybala – che a giudizio di chi scrive, s’intenda, non è un campione, né uno in grado di spostare gli equilibri – si è ritrovato a scegliere Roma soprattutto perché nella Capitale c’è José Mourinho. Altrimenti, ma è pacifico, non sarebbe stato un affare possibile. Lo status dell’argentino, al di là del suo reale valore, non gli avrebbe mai consentito il trasferimento in una squadra che non gioca neanche la Champions League. Certo, ci è arrivato perché nessun top club ci ha puntato veramente, e questo è altrettanto pacifico. Non è questa la sede per analizzarne le ragioni. Eppure aggiudicarsi un calciatore come Dybala vuol dire – abbiamo scritto anche questo – rimettersi «al centro del villaggio», seppure di un villaggio piccolo e periferico come l’Italia calcistica. Per una piazza come Roma, peraltro (ribadiamo) fuori dalla Champions, non è roba da poco. Hanno preso il numero 10 della Juve, uno che ha indossato la 10 di Del Piero, e gli daranno la numero 10 di Totti. E succede grazie a Mourinho, alla sua opera di convincimento, al suo lavoro certosino. Mourinho è semplicemente Mourinho, ed è difficile, forse impossibile, dirgli di no. A costo di preferire la Roma a piazze dove avrebbe potuto giocare la competizione europea più ambita, a cominciare da Napoli.
Ovviamente, dei meriti la dirigenza della Roma ce l’ha. Fosse solo che – a differenza di quanto fece quella del Napoli con Ancelotti, ma questa è storia nota – ha beninteso che se per una serie di incastri e contro-incastri riesci a portare a casa (in una casa che non è una casa di lusso) uno degli allenatori più forti e titolati della storia, poi devi fare di tutto per accontentarlo, per tutelarlo, per sostenerlo. Per difenderlo. Perché così si cresce. E a Roma, da un anno a questa parte, si fa quello che dice José. Anche sul mercato. Anche rischiando. Rui Patricio, Matic, Oliveira (che poi è stato scaricato) e ovviamente Abraham. Una rifondazione totale rispetto al gruppo dei Dzeko e dei Mkhytarian, cominciata già l’anno scorso, che continua quest’anno, e continua con Dybala. Non ci è dato sapere se la dirigenza della Roma fosse così convinta di dare uno stipendio importante alla Joya, che è uno che ha un bel po’ di effetti collaterali. Eppure, a differenza di quello che è stato fatto da queste parti con James Rodriguez prima e con Ibrahimovic poi, è una scelta che è stata fatta. Perché l’ha voluto Mourinho, e dunque s’è fatta e basta.
D’altronde, i risultati gli avevano già dato ragione lo scorso anno: un trofeo giallorosso (europeo, peraltro) dopo oltre quindici anni, un progetto ambizioso ed in crescita, una tifoseria che lo ama e che ben prima di prendere Dybala, ben prima del “colpo ad effetto”, aveva già polverizzato tutti gli abbonamenti disponibili. Ora, se è possibile, l’orizzonte è ancora più roseo. Anche Dybala alla Roma è un suo successo, l’ennesimo successo di Mourinho. Da qualunque punto la si guardi. I Friedkin hanno fatto il colpo. Quindici mesi fa, però. Quando hanno annunciato José.