Illuminante l’intervista di Romanazzi che lavora con Jacobs. È da anni che il Napoli viene meno nei momenti clou e la lacuna non viene mai affrontata

Molto interessante l’intervista pubblicata questa mattina dal Giornale a Nicoletta Romanazzi di professione mental coach, divenuta famosa perché tra i suoi clienti c’è Marcell Jacobs. Senza ovviamente calcare la mano, Romanazzi si è brevemente soffermata sull’arretratezza culturale del mondo del calcio.
«Io seguo diversi calciatori e alcuni di loro sono anche nella Nazionale italiana, e sono stati spesso in difficoltà a raccontare di avere un mental coach. Temono che il mister o la società possano pensare che abbiano dei problemi e quindi di essere messi da parte perché considerati deboli.
Eppure nello sport agonistico non si può non lavorare sulla mente. Prenda l’Italia di Mancini per esempio… Lì a un certo punto si sono bloccati. Era tutto un fatto mentale. Gli atleti quelli sono. Se hanno ottenuto risultati non è che improvvisamente hanno disimparato a giocare a calcio. Succede qualcosa nella testa che non permette di esprimere il proprio potenziale».
Ovviamente la Nazionale non l’ha chiamata. Ha alcuni calciatori che segue, Perin e Zappacosta.
Parliamo di lei perché è da anni che il Napoli di De Laurentiis si ritrova a soccombere nei momenti chiave della stagione. Raramente le risposte alle defaillances si sono focalizzate su aspetti tecnici o tattici. Spesso si è alluso a un non meglio precisato problema mentale, sbandamento psicologico, incapacità di mantenere alto il livello di concentrazione nei momenti clou. Tema che ricorre più o meno dall’eliminazione del 2012 col Chelsea (che era più forte di noi) in Champions League. Più di dieci anni fa.
Il Napoli non ha mai affrontato questa lacuna. Ormai si parla di sconfittismo radicato nel dna di questa squadra: è uno dei motivi per cui il cambiamento di uomini è fondamentale, serve aria fresca, servono emozioni e pensieri diversi.
Come ha spiegato la stessa Romanazzi nell’intervista,
Si lavora sul corpo, sulla tecnica e non sulla mente che può bloccare tutto in un nanosecondo? Puoi essere la persona più talentuosa, puoi avere un potenziale pazzesco ma se la testa va in tilt non porti a casa il risultato.
Il Napoli dovrebbe sterzare. Dovrebbe affrancarsi da un duplice ambiente primitivo: quello calcistico in sé; fatto di veleno e di ricerca delle motivazioni; e uno territoriale che è ogni giorno più imbarazzante. Dopo oltre un decennio, non è più accettabile che un club come il Napoli – che giustamente si presenta come un club di vertice in Italia e di seconda-terza fascia in Europa – non cominci ad affrontare seriamente l’aspetto mentale nella preparazione alla competizione di atleti professionisti. Il Liverpool di Klopp si avvale del lavoro di neuroscienziati per sfruttare meglio i calci piazzati.
Lo slogan è: meno grotteschi dibattiti sulla napoletanità e vil denaro, più approcci scientifici al calcio e allo sport in generale.
Ci sarà un motivo se il Napoli da anni, pur avendo rose competitive, non è mai riuscito a vincere. È giunto il momento di fare un importante passo avanti nella presa di coscienza che l’atleta professionista va curato a 360 gradi. Non è e non può essere soltanto una questione di tecnica e di tattica. È la realtà che ce lo insegna ogni giorno. L’aspetto mentale è importante per un calciatore non meno che per Jacobs o una sciatrice (Goggia e Brignone hanno più volte parlato dell’importanza della testa nelle competizioni di altissimo livello). Meno stregoneria, più scienza. Altrimenti finiamo sempre a parlare di attaccamento alle radici napoletane e francamente, oltre a essere ridicolo, è anche noioso.